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Di mamma ce n'è una sola, ma i timballi sono tanti...

Una delle prove più difficili da superare per una moglie è il confronto con la cucina r'a mamà di lui. Ascoltiamo le tenerezze dei languidi figli, legatissimi alle genitrici, alquanto incredule e infastidite. “Il latte del biberon che mi preparava mia mamma era eccezionale, me lo ricordo ancora!” Ma quale quello delle scatole? Come faccia poi a ricordarlo, sarà la potenza dell'ipnosi!
“Come mia mamma faceva le lasagne! E la salsa, uh, la salsa, dolce, aromatica, profumata... Ma il piatto per cui c'era l'adunata familiare, era il timballo, ricetta della nonna”. Già, eredità familiare, e solo questo rimane dopo tutti i furti del parentame!
“Il timballo era il premio per un esame, per un gara vinta. Era alto quanto quattro dita di un energumeno, tipo buttafuori o scaricatore, forse più vicino al tipo lottatore. La mia mamma si svegliava presto la mattina e in base a quello che trovava al mercato, faceva una versione oppure un'altra. Quella che preferivo io era con il tritato. Una poesia!”.

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E mentre vi racconta, non si è accorto che avete finito di lavare i piatti, che avete passato lo straccio, che ha tappezzato cucina e soggiorno con le scarpe infangate dallo jogging al parco, che nel frattempo, mentre lui è comodamente seduto a riposarsi, voi state anche apparecchiando la tavola, trascinando un figlio attaccato alla vostra caviglia, che fa i capricci, perché voleva andare alle giostre e voi siete tornate tardi dal lavoro. Madri degeneri! Ma come potete interromperlo, sta parlando della mamma!
“Quando ero piccolo, stavo con lei e la osservavo. Preparava un brodo di carne, con tante ossa, ci doveva essere il ginocchio, senza quello, non era lo stesso, diceva, e anche tante verdure, cipolle, patate, carote e sedano. Poi con il brodo faceva un risotto. Utilizzava 1 kg di riso, non lesinava mai. Eravamo lupetti!”. Già, e si vedono i risultati, ma non è il caso di aprire la questione dei pasti pantagruelici, siete già abbastanza alterate.

“La bravura è che non lo faceva scuocere, credo che lo scendesse a metà cottura. Poi aggiungeva 6 tuorli, il parmigiano e il caciocavallo grattugiato e mescolava velocemente per non far rapprendere le uova. Aveva una forza, mi chiedo come facesse, era così piccola. Non ha mai avuto bisogno di nessuno, che so, per aprire un barattolo o una bottiglia” Vi sentite immediatamente bacchettate, contate le volte in cui lo avete chiamato per svitare la caffettiera e lui, con fare sufficiente, vi ha concesso la sua collaborazione. Continuate a cuocervi, ma non dite nulla.

“Versava nella teglia alta, imburrata e cosparsa di mollica, quella buona, fatta con il pane di paese e grattugiata fina, metà del risotto. Nel frattempo aveva preparato un delizioso ragù con 500 gr di tritato di vitello, 250 gr di maiale e 250 gr di pollo, 2 bottiglie di salsa fatta in casa, 2 cipolle, 1 bicchiere di vino bianco, sale e pepe. Lo versava nella teglia, sistemava le fette di primosale, copriva con l'altra metà del risotto, cospargendo di altra mollica. Versava altre quattro uova sbattute per fare la crosticina e metteva in forno. Ti dico, l'odore si sentiva dalla strada. A volte friggeva le melanzane e foderava la teglia, poi ci versava il riso e continuava come ti ho detto. Ma perché...” Lo sta dicendo, vi sta suggerendo di cimentarvi nella cucinata.

Vi suggerisco di togliere le armi contundenti, coltelli, manici di scopa, che potreste utilizzare impropriamente. Prendete in mano la situazione e proponete, seducendolo, “Amore, hai ragione, sai che facciamo? Sabato lasciamo i bambini da tua mamma, che ne sarà felice, noi usciamo e ce li andiamo a riprendere domenica. Così restiamo a pranzo dai tuoi. Puoi chiederle di prepararcelo, così lo assaggio.” Lo vedrete annaspare, sbiancare. Come, affaticare la mamma, darle il disturbo di tutte queste persone a pranzo, va bene per le feste comandate, ma perché oltre? Sembra che non gradisca trascorrere una intera giornata con la luce dei suoi occhi. Vi dirà “Amore, ma non mi avevi detto che domenica mi preparavi la tua specialità che adoro, come adoro te!” Finalmente “apprezzate”, potrete godervi un periodo di pace, consapevoli però che è solo temporaneo.

L’abbinamento

La straordinaria complessità di questo piatto lusinga e seduce il nostro palato, ma rende particolarmente gravoso il nostro compito. Siamo di fronte ad un piatto composto da numerosi elementi, ciascuno dei quali possiede uno o più tratti caratteristici e dominanti. La commistione, così come il tipo di cottura utilizzato, tuttavia, come sempre accade, ne accentua ed esalta soltanto alcuni. Su questi costruiremo la consueta architettura del nostro edificio sensoriale.

Uno dei tratti salienti del piatto in esame è sicuramente la tendenza dolce legata all’amido del riso, alle uova e alla carne utilizzata nella preparazione del brodo e del ragù. I composti a base di carne, inoltre, contribuiscono ad arricchire il risultato finale con note percettibili di sapidità, aromaticità, speziatura e grassezza, caratteristica quest’ultima nondimeno imputabile alle uova. La succulenza tipica della carne risulta infine accentuata dal sugo che da parte sua impone la sua tendenza acida.

La sintesi di queste osservazioni suggerisce di orientare la scelta verso un vino rosso maturo e strutturato, con bouquet fruttato e piuttosto evoluto, di buona freschezza e sapidità, abbastanza tannico, morbido e caldo di alcool, e con una buona persistenza aromatica intensa. La soluzione ideale sarebbe un Etna Doc nella tipologia rosso: difficile rimanere delusi dalla sua pertinenza.

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