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E meno male che è solo semolino!

Si potrebbe paragonare al brutto anatroccolo che diventa cigno. È di una bontà folgorante! Uno mangia e ha un collasso, rischia la folgorazione, la conversione, ha un conato di affetto per il vicino che scotola la tovaglia sui panni stesi, anche per il gatto, che ha appena rotto il vaso di Sevres. Purtroppo è un piatto camurruso, che richiede lunghi tempi di preparazione e di attesa. Non parliamo dell’incocciata, che è un’attività da Muro del Pianto; della cottura, che richiede una laurea in ingegneria culinaria per unire con una pasta, fatta da farina e acqua, la pentola e la couscousera, in più ci vuole una pazienza di Giobbe! Inoltre c’è l’arripusata, il cous cous deve stare coperto da mappine e coperte di lana per terminare la cottura.

Paragonabile per versatilità alla pasta, ogni zona rivendica la verità e la correttezza della propria ricetta. A Tunisi, dove lo chiamano kuskussù, è accompagnato dalla carne di montone, le verdure, come le patate intere, il cavolo cappuccio a fette, i ceci e il peperoncino lungo, in Marocco e per la verità in molti paesi arabi lo si condisce con zafferano, miele e frutta secca, un piatto dolce che ritroviamo anche nella zona di Agrigento. In Sicilia viene servito anche con le fave, le fave e i broccoli, con i broccoli e il maiale, con il ragù di maiale. Ma quello che detiene il primato è il famoso, richiestissimo cous cous con la zuppa di pesce, che ognuno personalizza secondo tradizione.

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A Pantelleria usano cernie e aragoste per il brodo e aggiungono verdure fritte come decorazione, a Marsala arricchiscono il brodo con gamberetti e calamari o seppioline soffritti, a Palermo lo troviamo con una zuppa di dentici e cefali vari. Se dobbiamo individuare una Mecca, che ha innalzato quest’alimento a suo emblema, quella è Trapani e la sua provincia. San Vito Lo Capo è ormai luogo di pellegrinaggio, è diventato il santuario del brodo di pesce. Al cous cous è dedicato addirittura un festival, che si svolge proprio in questi giorni. La ressa è indicibile. A ora di mangiare si muovono le mandrie! Obiettivamente merita, solo solo per farsi una cultura. Magari si può inviare un filmato a Piero Angela sul comportamento dell’uomo durante le feste pagane. Sociologicamente è molto interessante. Chissà cosa avrebbe detto Levy-Strauss!

Per fare un buon brodo occorre, è ovvio, una buona materia prima. Scegliete i pesci fra quelli che vi offre il mercato: muletti, scorfani, cefali, caponi. Non dimenticate la vuopa, che dà un sapore corposo al brodo. Preferite pesci che mantengano consistenza, altrimenti rischiate di mangiare cous cous squarato e non è bello. ‘Ngranciate con olio d’oliva la cipolla bianca tritata, che è la più dolce, e l’aglio, a fuoco lento. Quando sono ammorbiditi aggiungete l’astrattu sciolto nell’acqua, un pesto di mandorle tritate e prezzemolo e fate cuocere, sempre a fuoco lento. È la pazienza di Giobbe di cui sopra!

Aggiungete l’acqua, calcolate due litri per 500 gr di cous cous e unite i pesci. Fate cuocere e appena pronto filtrate il brodo, versandone un poco nel bellu lemmu di terracotta in cui è messo il cous cous e lasciate il resto nella scodella, che porterete a tavola, con i tocchi di pesce, utili anche come secondo. Le facce soddisfatte dei vostri ospiti, o dei familiari, vi ripagheranno della fatica. Se l’esperimento riesce, potreste utilizzarlo per conquistare il cuore di qualcuno. Sarà sicuramente apprezzato il lavoro immane a cui vi sarete sottoposti. Tutti, uomini e donne, sono sensibili ai sollazzi del gusto. Farete un’ottima figura, conquistando tanti punti Paradiso. Mi saprete dire.

L’abbinamento

Considerando la grande quantità degli ingredienti utilizzati per la preparazione, la nostra è una pietanza particolarmente ricca e complessa. Dopo il primo assaggio risulta evidente la presenza di una decisa aromaticità e speziatura, circostanza che impone di scegliere un vino persistente dotato di un buon corredo aromatico. La tendenza dolce delle carni del pesce, unita alla inevitabile succulenza del piatto, suggerisce inoltre di scegliere un vino dotato di freschezza gustativa e caldo di alcol, sì da asciugare le componenti liquide che la semola non riesce a trattenere. Dovendo trarre le inevitabile somme della nostra analisi, consiglio un blend tra due vitigni diversi tra loro, ma la cui unione risulta quanto mai opportuna, Chardonnay e Inzolia.

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