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I ricci: longevità afrodisiaca per la gioia del palato

A noi siciliani piacciono le tinte forti, i colori decisi, i sapori piccanti, le storie d’amore acuminate, un po’ tragedia, un po’ commedia. Amiamo il rischio per poi finire a tarallucci e vino e ‘un ci fu nenti, pigghiamunni 'u cafè. Le nostre devono essere cose veraci, senza falsità, magari un po’ di scena per rendere il tutto più drammatico. Potremmo subire un collasso vedendo spremere, nell’insalata o nel pesce, il succo di limone da una bottiglietta di plastica, o utilizzare le pesche sciroppate nel vino, o ancora spezzettare i pelati per il pesto alla trapanese! Non si possono usare surrogati! O cose buone o niente!

Anche le nostre espressioni hanno tinte forti e rimandano a immagini pittoresche, che incarnano la sapienza dei contadini, pastori o pescatori e la cultura popolare. Per esempio mi sono sempre chiesta perché si dica “amarsi come i rizzi” (per la verità la locuzione è più colorita, ma è chiaro il rimando). La spiegazione ci arriva direttamente da recenti studi svolti dall’Università dell’Oregon. Secondo le ultime ricerche si è scoperto che la vita media dei ricci è di duecento anni, non quindici come si pensava, e che più invecchiano, più si adattano con facilità ai mutamenti ambientali e più si accresce la capacità riproduttiva. E nessun Viagra!

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Mi fa piacere per i ricci, sono meravigliata delle loro prestazioni, mi complimento con le mogli felici, ma non riesco a pensare a migliore dipartita che quella di finire su un buon piatto di spaghetti! È una cosa onorevole, un servizio sociale di estrema utilità, contribuisce a innalzare l’umore, appagare l’animo. I neurologi, d’altro canto, stanno iniziando terapie "gestaltiche" per aiutare i ricci ad accettare la condizione naturale di martiri. Ecce riccio.

I pazienti, quasi tutti fra i cento e i centodieci anni, sembrano rispondere bene alle cure, hanno ritrovato la gioia di vivere e ripreso “con foga” il trantran quotidiano. Bisognerà comunque attendere la fine della cura per esprimersi in modo esaustivo.
Una richiesta fondamentale, posta come conditio sine qua non, manifestata dai pazienti e garantita dagli specialisti, è la sicurezza di una fine dignitosa. A tale scopo un opuscolo informativo verrà inviato a tutti i cittadini e conterrà precise indicazioni sui modi di impiego di questi magnifici prodotti. Promosso dall’assessorato alle Politiche ambientali, in collaborazione con il ministero della Salute, è un utile mezzo per diffondere il rispetto delle nostre tradizioni e la salvaguardia di minoranze in via di estinzione.

È già possibile fornire la ricetta a cui accennavo. Per quattro persone servono: 500 gr di spaghetti, possibilmente n° 3 di grano duro, 2 spicchi di aglio nostrano, prezzemolo fresco tritato, sale, pepe, olio d’oliva e 50 ricci. Per prima cosa bisogna tagliare i ricci con le apposite forbici e raccogliere le uova in una terrina. In una padella soffriggete leggermente gli spicchi d’aglio con abbondante olio d’oliva. Lessate gli spaghetti e scolateli bene al dente. Eliminate l’aglio e condite la pasta con l’olio, aggiungete un po’ di pepe, o se preferite peperoncino, versate i ricci e rimescolate. Spolverate con il prezzemolo e servite subito. Alcuni aggiungono il succo del limone, ma secondo me smorza il sapore del mare. Pur essendo un piatto semplice, che va gustato senza nessuna aggiunta, è un ottimo afrodisiaco che vi accompagnerà nelle calde notti estive. I ricci vi trasmetteranno la vitalità dei loro duecento anni!

L’abbinamento

L’ingresso dei ricci di mare nel panorama gastronomico della nostra cucina non è una realtà del tutto recente. Secondo le antiche testimonianze numerose sono le proprietà e le possibilità di utilizzo di tali echinodermi: Ippocrate, ad esempio, affermava che «Alcuni mangiano i ricci di mare sia nel vino mielato sia nella salsa di pesce, prima di pranzo, per purgare il ventre», mentre Plinio, nella preziosa "Storia naturale", sosteneva che «I ricci di mare pestati con le loro spine e bevuti nel vino guariscono dai calcoli» ed ancora che «I ricci di mare pestati ancor vivi e bevuti nel vino dolce arrestano i flussi».

Certo, se il vino dolce è davvero necessario per una pronta guarigione, nulla da dire! Ma per un corretto abbinamento non è proprio la scelta ideale, anzi la meno adeguata. Plinio mi scuserà per questo. Cominciando ad affrontare il nostro quesito, diciamo fin da ora che il sapore pieno e deciso della polpa di ricci esige un vino altrettanto pieno: un rosso sarebbe sicuramente eccessivo, ed anche se molti bianchi della nostra regione potrebbero onorare il nostro piatto, il rosato sembra la scelta più opportuna.

La versatilità che ci offre ben si adatta alle caratteristiche del nostro piatto: una straordinaria fusione tra il caratteristico sapore salmastro dei ricci, l’aromaticità dell’aglio e del prezzemolo aggiunti durante la sua preparazione e la tendenza dolce della pasta su cui viene posta la polpa. Nel nostro caso mi permetto di consigliare il rosato prodotto nella Doc Contea di Sclafani.

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