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Fiera del Mediterraneo: tanti eventi ma zero progetti a lungo termine, quale destino?

Fu luogo di sogni e formazione, di scambio e innovazione, di svago e promozione: la Fiera del Mediterraneo a Palermo aprì nel '46 e oggi sopravvive senza un progetto reale

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 10 ottobre 2017

Quando crolla una civiltà e l'uomo diventa una belva, chi ha il compito di difendere gli ideali? Sono i cosiddetti "intellettuali". Sarebbe troppo bello essere "intellettuali" in tempi pacifici e diventare codardi quando c'è pericolo.

Ci sia da faro questo frammento di Fernanda Wittgens per tracciare insieme le coordinate dell'unica via di fuga per evitare il dramma del degrado sociale-culturale-economico a cui è destinato uno dei frammenti urbani più evocativi della memoria del dopoguerra siciliano, la Fiera del Mediterraneo.

Esiste un'unica via possibile: si chiama progetto. E vi spieghiamo appresso il perché. I settant'anni che di fatto garantiscono a un manufatto di rientrare nella tutela ope legis, per cui ogni intervento di trasformazione sia subordinato al parere della soprintendenza, ci sono tutti ma facciamo un passo indietro e facciamolo insieme.

Fu luogo di sogni e formazione la Fiera del Mediterraneo di Palermo, fu luogo di scambio e innovazione tecnologica, di svago e promozione, frammento urbano di socialità e cultura e aprì battenti nell'ottobre del 1946.
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Il progetto dell'impianto complessivo dei padiglioni fu opera dell'architetto Paolo Caruso, così come l'interessante padiglione centrale dell'elettricità e i due padiglioni degli ingressi sui relativi viali Adriatico e Mediterraneo. Salvatore Cardella progettò il padiglione della meccanica dalle colonne binate, quello della chimica è un progetto di Luigi Epifanio, Demetrio e Alexandra Moretis il padiglione policromo della Grecia e di molti altri padiglioni la paternità sembra persa tra la sabbia degli archivi ma la verità che dentro c'è tutto dal razionalismo ai rimandi Wrightiani, dalla Pop Art al funzionalismo, dal neorealismo al postmodern.

Phonola, Fiat, Olivetti, Cinzano, Motta, Amstrad, Martini, Magneti Marelli e ancora Dalmine, Ansaldo, Campari, Bonelli, Barilla, Rizzoli, Durbans, Marsala, sono alcuni dei marchi consolidatisi all'interno della Fiera e della nostra memoria collettiva che non si arrende e che vuole resistere.

Non molti lo ricordano ma fu il giornalista Gianni Morici a intessere quella rete di rapporti e convergenze che diedero vita al progetto prima e alla realizzazione, subito dopo, dell'intero polo fieristico inaugurato ancor prima della Fiera di Milano alla presenza di Alcide De Gasperi e del Presidente De Nicola quando ancora il boom economico non era neanche in visione!

Ma la Fiera chiamata da Morici, appunto del "Mediterraneo" fu tale nella volontà propositiva di divenire ponte culturale ed economico con tutti i Paesi del mare nostrum con cui scambiare prodotti e progetti.

Fu questo il dna posto dietro lo sviluppo successivo del quartiere dei padiglioni stranieri come quello U.S.A. , greco, libico, magrebino. Dobbiamo poi a un altro geniale Morici, Gino, alcuni degli allestimenti e delle grafiche più suggestive del gusto eclettico degli anni cinquanta.

Per non parlare della sacralità del gesto creativo impressa nei diversi padiglioni come quello degli alimentari, del Padiglione 1 e soprattutto dell'ingresso monumentale da quel sublime maestro che fu Alfonso Amorelli.

Qui, tra gli elementi verticali fitti di Caruso, quasi a cornice contratta a tenere in tensione continua gli accessi pedonali sottostanti, si ergono le centauromachie di Amorelli, bassorilievi dal prezioso e raffinato disegno che a causa dell'incuria e del tempo, stiamo pian piano lasciando disgregare in silenzio.

Il padiglione dei profumi, l'albergo diurno, il Bar Italia, la fontana monumentale di Caruso con il gruppo scultoreo di Manzilla completano il quadro di un tessuto architettonico che nella sua dignità di continuare a esistere per tramandare memoria, costituisce un imprescindibile Libro di pietra.

La Fiera del mediterraneo deve rinascere. Potrà risorgere soltanto attraverso un progetto architettonico di qualità condiviso, corale e mirato, che attraverso tutti gli stadi della progettazione che ricordiamo volutamente essere preliminare, definitiva ed esecutiva, sia subordinato a un rilievo attento dei diversi edifici, a una mappatura puntuale e storico-critica dei diversi padiglioni esistenti e naturalmente al parere fondamentale della Soprintendenza!

Nessuno spot di governance, nessun progetto calato dall'alto, né episodici interventi locali di condizionamento impiantistico, potranno sostituirsi a un masterplan che sappia coniugare le scelte future di trasformazione, magari condivise coi cittadini, con un adeguato grado di conoscenza e coscienza della storia e delle nostre radici culturali.

Chiudiamo ricordando alla Capitale italiana della cultura, che a un centinaio di metri dal plesso fieristico si trova la neo-scoperta Casermetta Nerviana e le 12 cisterne ipogee in cui abbiamo immaginato il futuro museo WW2.

Ecco, serve una visione di insieme e la volontà politica reale di rilancio del sito, della cultura e della storia. Ma prima di tutto serve l'attenzione integrale dei cittadini e degli intellettuali palermitani, perché gli appetiti su quell'area sono tanti, al contrario delle intelligenze istituzionali che servirebbero per far uscire la nostra memoria collettiva dalla empasse di questa inutile fiera delle vanità!

Noi non ci arrendiamo al degrado come destino. E voi? Nessun dorma!
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