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Palermo, il sud degli stereotipi: io non ci sto più

Palermo, per i palermitani, è l’unica realtà possibile, è il sud degli stereotipi, il sud che vuole rimanere sud e dove tutto è fermo e imbalsamato

  • 16 dicembre 2012

Ci piace questo posto. Che ne dici, amore mio? Ci piace perché la gente è serena, vive bene, le strade sono ordinate e i pedoni sono pedoni, non bersagli. Ci piace il modo in cui i commercianti curano l’allestimento delle vetrine, ci piace l’educazione, il modo di sorridere degli abitanti di questo posto. Forse non lo cambierei questo posto, forse voglio vivere qui. Tutti ammoniscono: "piemontesi falsi e cortesi", ma a noi va bene così. Un po’ di falsa cortesia ci serviva pure. A noi questa cortesia piace davvero. Non ci importa che sia falsa. Pensiamo che ce la meritiamo, e la prendiamo così com’è.

È bello trovare un posto che piaccia ad entrambi, trovare respiro in una città dove ti puoi muovere a piedi o in bici, puoi prendere il tram senza essere travolto dalla gente, prendere la metro e trovare sempre spazio per te, chiedere informazioni e ricevere risposte precise. È bella la premura delle persone. Questo senso di umanità ci mancava, eravamo abituati a vivere a Roma, a fare la guerra tutti contro tutti, a stare chiusi nel nostro ghetto, a rintanarci nelle nostre case, le sere passate a cenare con i nostri amici del sud, ad elogiare e spadellare i nostri cibi pensando che fossero i migliori al mondo, chiusi dentro una scatola, la nostra casa, a giocare con i giochi da tavola, altre scatole che contenevano i nostri momenti di noia serale.

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Non ci importava nulla degli altri. Ne avevamo le tasche piene degli altri, dei loro insulti, delle loro scenate sugli autobus, delle loro imposizioni a lavoro, dei loro volti stanchi e depressi, ne avevamo le tasche piene dei visi di plastica delle signore attempate, delle smorfie isteriche dei commercianti, dell’indelicatezza, della scarsa umanità, della gente che sfogava le sue frustrazioni sugli stranieri, del razzismo, dei turisti con i visi felici ignari della follia di quel posto. Quella non era una città, quella era una bolgia infernale, e la sera era l’unico momento che ci restava per essere noi, per salvaguardare quello che noi credevamo fosse giusto.

Abbiamo fatto un percorso che ci ha cambiati, da Palermo a Roma e poi Torino. Palermo non è una città da prendere come metro di paragone. Palermo, per i palermitani, è l’unica realtà possibile, è il sud degli stereotipi, il sud che vuole rimanere sud e dove tutto è fermo e imbalsamato, splendente di sole, un sole troppo caldo che scioglie qualsiasi cosa. A Palermo i problemi non esistono perché facciamo tutti finta di non vedere, legittimiamo tutto ciò che in qualsiasi altro luogo sembrerebbe sbagliato. Non la vogliamo cambiare Palermo perché ci fa comodo così, è il caos che deve rimanere caos e che si riduce ad un movimento sterile di corpi. Palermo, città ingrata dove non succede niente.

Poi siamo andati a Roma, dove abbiamo imparato ad odiare il prossimo, a farci calpestare, a farci trattare come bestie, dove abbiamo imparato a convivere con l’indifferenza e abbiamo capito che lasciare per terra una persona che sta male era l’unica cosa da fare, dove una persona ferita dopo un incidente stradale è solo una perdita di tempo perché fai tardi al tuo appuntamento, dove abbiamo cominciato a ragionare male "ma proprio qui doveva morire questo, faccio tardi a lavoro". Anche a Roma abbiamo conosciuto il caos, diverso da quello di Palermo, non un agitarsi sterile ma un caos che miete vittime, dove i corpi si scontrano e si rompono.

Adesso siamo a Torino, in perfetto equilibrio. Ci sono un sacco di cose da fare qui, ogni sera una rassegna di film interessanti al cinema, spettacoli teatrali gratuiti, eventi di ogni tipo, mostre all’aperto, mercati multiculturali. La vita non è nemmeno cara, le strade sono sempre illuminate e ci sono tantissimi ragazzi. Tu lavori sodo e io mi sento felice, la sera, quando torni a casa. Io un lavoro non ce l’ho, sto continuando a “formarmi”. Il circolo chiuso della formazione perenne: formazione, specializzazione, masterizzazione e di nuovo da capo.

Ma siamo in pace, le persone sono gentili, sembra vadano per la strada giusta, corrono, vanno in bici, si arrampicano. Riescono. E mi fanno credere che tra non molto anch’io forse riuscirò. Non si stressano per andare a lavoro, non arrivano stanchi a lavoro, non fanno la guerra per arrivare a lavoro. Alle otto di mattina arrivi alla stazione della metro e vedi visi assonnati ma rilassati, una metro al minuto, efficientissima, esci per strada e il mondo ti appare chiaro, città a misura d’uomo, uomini che non si fanno la guerra, strette di mano, umanità. Qualche amico lo abbiamo anche qui ormai, manca solo un lavoro e poi potremo prendere fiato.

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