ATTUALITÀ

HomeNewsAttualità

Per favore, smettiamo di chiamarlo "amore"

Carmela, 17 anni, morta per proteggere la sorella Lucia dalle coltellate dell'ex fidanzato. Succede a Palermo. Succede, e sempre più spesso, in tutta Italia

  • 21 ottobre 2012

La cronaca nera e il codice penale li archiviano di solito come omicidi passionali. Un'etichetta, uno stereotipo, che però quasi mai dicono il vero. Perché quell'aggettivo può raccontare molte cose: l'ardore del sentimento, l'impeto del desiderio, il tumulto del cuore di fronte a un tradimento, un rifiuto, un abbandono, la furia del dolore, il raptus della gelosia o della paura. Ma niente dice di quello che è un assassinio.

Passionale. Quasi dubitiamo che da questo aggettivo possa venire qualcosa di male. La passione che è sinonimo dell'amore così come lo sognano milioni di uomini e donne in tutto il mondo. La passione che spesso di quell'amore è misura e sintomo. La passione che è motore del mondo. L'abbiamo provata, quella passione, ce la ricordiamo bene, la rincorriamo a volte, ci appartiene, è "umana" nel senso più profondo che si possa dire, ci fa sentire vivi. Ma se quella stessa passione diventa movente di morte, allora quasi siamo portati a capire. Ad ammettere. A giustificare. Soprattutto in Italia, e soprattutto se di un delitto "passionale" le vittime sono donne. Perché si sa, le donne fanno perdere la testa.

La morte di Carmela, spero davvero che nessuno decida di definirla così. E non solo perché a ucciderla non è stato un amante ma l'ex fidanzato della sorella, che lei ha cercato di proteggere con il suo corpo contro la furia delle coltellate. Semplicemente perché quello di via Uditore non è un omicidio passionale. È un omicidio, prima di tutto. E un femminicidio, anche.

Del resto l'assassino ha confessato: quel 23enne rincorso per ore tra Palermo e Bagheria, che ha cercato di fuggire tra un autobus e un treno, lasciando dietro di sè tracce di sangue e scie telefoniche, e bloccato già prima che finisse la giornata, quel 23enne che sui social network si faceva chiamare "Tigrotto" esibendo però i primi muscoli da palestra, ha raccontato tutto. Movente, dinamica, tutto: il fidanzamento con Lucia, la decisione della ragazza di lasciarlo, lui che non si rassegna alla fine della storia. Fino al coltello.

È il mostruoso finale di un "amore" malato, che somiglia purtroppo a centinaia di altri finali drammaticamente prevedibili. Basta sfogliare i giornali dei mesi scorsi, per rendersene conto. Le vittime sono quasi sempre donne, mogli, amanti, fidanzate, amiche, colleghe d'ufficio. Uccise a botte, a coltellate, a colpi di martello o di pistola. Colpevoli di non amare più, di non amare abbastanza, di non amare nel modo giusto.

Ma è anche il frutto di un'educazione sentimentale ed emotiva mancata, di cui nel nostro Paese quasi nessuno si cura. Non la scuola, non la politica, non la televisione, nemmeno la pubblicità, in pochissimi casi la famiglia. E nel cui vuoto germogliano idee distorte, drogate, sul rapporto tra i sessi. L'idea di un amore come possesso, e dipendenza, spesso anche fisica. L'idea di una relazione come cerchio chiuso, che esclude dialogo ed evoluzione dei singoli individui. L'idea di una mascolinità ancora dominante e assertiva, e di una femminilità per definizione accogliente e dunque consenziente. Idee che nel nostro Paese sembrano più diffuse e radicate di quanto non vorremmo e che evidentemente vanno ben oltre il salto generazionale.

A questo era destinata Lucia, 18 anni appena. Esattamente a questa violenza furibonda deve aver pensato venerdì mattina, al fianco della sorella Carmela, di un anno più piccola, quando dalla strada ha visto arrivare il suo ex fidanzato che le veniva incontro sotto casa. Non sarà stato un caso se le è bastato questo per gettarsi al citofono urlando al fratello di aprire subito il portone. Non lo avrebbe fatto, se non avesse avuto paura, e se nel suo recente passato - oltre alla vacanza studio con i compagni di liceo a Brighton, i successi scolastici, le uscite con gli amici - non ci fossero state anche le minacce, le persecuzioni, le molestie, gli sms anonimi.

Carmela è morta per proteggere la sorella dalla violenza di un assassino. Da un'aggressione simile a migliaia di altre. Da una lotta per il possesso: di un corpo o di un cuore, non fa differenza. Ma non chiamiamolo amore, per favore. Mai più.

GLI ARTICOLI PIÙ LETTI