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Sessanta ministorie legate tra loro

  • 20 marzo 2006

Copertina in bianco e nero, nostalgica. Due mani intrecciate, come le sessanta ministorie presenti nel testo. Ciascuna inizia con l’ultima frase della precedente. E anche l’ultima storia si lega alla prima. A scriverle, una delle voci più interessanti della nuova letteratura noir italiana, la milanese Barbara Garlaschelli (classe ’65, i suoi racconti sono presenti in molte antologie, collabora con vari mensili e settimanali), nella sua ultima coinvolgente impresa letteraria “L’una nell’altra” (pp. 133, euro 12,50) uscita a fine febbraio con Dario Flaccovio Editore. Nota per il suo umorismo nero di “natura quasi genetica”, “per saper scavare a fondo nelle oscurità della psiche dei suoi simili, mettere a nudo pulsioni e pensieri inconfessabili” (si possono, probabilmente, solo scrivere), noi di Balarm.it abbiamo voluto scambiare con Barbara Garlaschelli due parole. Ma alla domanda “ci parli di te?” ha fatto “parol”, impresa troppo ardua. E allora si è andati subito al sodo. Ha definito il suo romanzo «melanconico, a tratti feroce». Un testo oscuro, profondo, che non ha scritto però con finalità “terapeutiche”, perché non intende la scrittura come “liberatrice di fantasmi”, e la utilizza «per il puro piacere di raccontare, o ricordare, nel senso di serbare la memoria». E noi vogliamo crederle. Anche perché l’autrice si è schierata: le piacciono i cattivi che «si sa sono più interessanti dei buoni».
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“L’una nell’altra” raccoglie sessanta storie. E sono brevi, anzi brevissime. Poco più di una pagina l’una. Che leggi d’un fiato. E l’occhio va subito avanti, alla ricerca di ciò che verrà. Si tratta di storie raccontate come fotogrammi, flash d’esistenza, angoli di visuale crudi e spietati sul mondo. Molte vite, in questo piccolo libro. Fra queste: un clown triste ed innamorato della trapezista “che lo guarda ma non lo vede”; una donna che si accorge che il marito ha l’amante, che non è né alta né bella né magra “eppure lui la guarda come fosse un’opera d’arte di inestimabile bellezza”; una prostituta che butta fuori di casa un ragazzino che le ha dichiarato il suo amore; un uomo incapace di ridere; uno che non ha perdonato la fidanzata del tradimento subito e ha aspettato di dirlo proprio dinanzi all’altare; e una donna che ha trovato il coraggio di dire: ‹‹Adesso basta. Non me ne importa perché ho capito il trucco. Che non è nemmeno un trucco, è una magia. La magia del perdonarsi. E’ una sensazione quasi fisica, un orgasmo, una vertigine. Perdonarsi. Guardarsi allo specchio e dirsi: “Eh sì, a volte sei goffa e inadeguata, ma quanto sei bella! E quanto ti voglio bene!”. Questo mi mancava. Una dichiarazione d’amore. Da me stessa. Una spassionata, intensa, romantica dichiarazione d’amore». Solo per citare alcune frasi del testo. Concise, vibranti. Tratte dalla penultima storia che l’autrice ha donato, perché no, forse a se stessa.

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