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"Specchio magico", la classe morta della borghesia

  • 20 giugno 2006

SPECCHIO MAGICO
Portogallo, 2005
Di: Manoel de Oliveira
Con: Ricardo Trepa, Leonor Silveira, Duarte de Almeida, Luis Miguel Cintra, Leonor Baldaque, Michel Piccoli, Marisa Paredes

Come si fa a non augurare al grande maestro portoghese, al quasi centenario, vitalissimo Manoel de Oliveira una lunga vita? Assieme allo svedese Ingmar Bergman è il più anziano regista vivente (classe 1908) ed il suo cinema moderno e rigoroso riesce ad ammaliare oggi più che mai. Gira un film all’anno ed ogni volta è una sorpresa. Nel 2004 ha ricevuto a Venezia un tardivo Leone d’Oro alla carriera, mentre allo stesso festival ha presentato in concorso lo scorso anno “Specchio magico”, un capolavoro che lo consegna all’Olimpo dei grandi cineasti, una raffinatissima lezione di stile, ammantata da un retrogusto letterario sciolto in una soluzione musicale che trasforma il suo cinema in qualcosa di unico, aspro ed aggraziato insieme.

Ancora una volta de Oliveira si ispira ad un romanzo di Augustina Bessa-Luis, “A alma dos ricos” dal quale aveva già tratto “Francisca”, “La valle del peccato”, “I misteri del convento” e “Il principio dell’incertezza”, mentre uno dei racconti della scrittrice aveva ispirato il film ad episodi “Inquietudine”. La protagonista di quest’ultima pellicola è la prediletta Leonor Silveira che ci sorprende con una interpretazione magistrale e commovente, in una parola indimenticabile. Lo scenario naturale che fa da teatro alla storia, la tenuta della ricca signora di turno, fa venire in mente quell’elegante sonetto in forma di film che si chiama “Party” (con i dialoghi scritti sempre da Bessa-Luis), ma “Specchio magico” si avvicina per ispirazione a “Il principio dell’incertezza”, con la sua acuta riflessione sulla complessità del reale e del suo manifestarsi, nel corso dell’esistenza quotidiana.

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Josè Luciano (Ricardo Trepa) è un ex-detenuto che riesce a trovare, tramite la raccomandazione di un amico, un posto di lavoro presso la casa di una bella e ricca signora, Alfreda (Silveira), diventando suo autista e confidente. Il nostro protagonista era finito in carcere per un crimine non commesso, e adesso si ritrova inscritto in un ambiente bizzarro ed opulente, mai conosciuto prima. Alfreda è una donna annoiata e devota (da bambina è stata cresciuta dalle suore) il cui primario desiderio è quello di assistere ad un’apparizione della Vergine Maria, spinta dall’esaltazione a credere che l’Orto degli Ulivi sia ormai una proprietà di famiglia. Un professore di teologia, Heschel (un Michel Piccoli in stato di grazia), asseconda le convinzioni della ricca padrona, usufruendo di una luculliana ospitalità. Entra in scena Nun (Marisa Paredes), una suora dall’aspetto misterioso che parla di una interiorità ispirata non dalle visioni ma da un totale ascolto di Dio.

Filipe Quinta (Luis Miguel Cintra) è invece un amico falsario di Josè, che questi ha conosciuto in cella è che si ritrova nella villa come accordatore di pianoforti finendo per architettare la messa in scena di un’apparizione della Vergine Maria, ingaggiando come attrice Vicente (Leonor Baldaque), una ragazza di facili costumi. Bahia (Duarte de Almeida) è il marito di Alfreda, attento più a gestire il proprio talento musicale che ad occuparsi della moglie (la “Danza Macabra” di Saint-Saens segue ironicamente tutti i personaggi di questa commedia acre ed inquietante). La finta rappresentazione non si farà poiché Alfreda finisce per ammalarsi.

I riflessi buñuelliani sono, in quest’opera di de Oliveira, assai evidenti: il tema della malinconia borghese e delle sue fatue aspirazioni all’immortalità serve come spunto a questo piccolo pamphlet sulla presenza/assenza della spiritualità, sul miracolo che spetta più ai poveri che ai ricchi, perché così sarebbe giusto. Sullo specchio magico di quel sogno ad occhi aperti che rimane (per de Oliveira e per pochi altri) il cinema, appare il riflesso della classe morta, dei personaggi che vivono nella villa sempre guardando altrove e mai dentro se stessi. Così acquistano una dimensione emblematica il personaggio di Alfreda e il suo desiderio mistico ovvero l’elevazione suprema che nasce dalla paura dell’al di là e dalle conseguenze di una vita infelice.

Con “Specchio magico”, il grande regista sceglie ancora una volta di ammonirci, recuperando con raffinata disinvoltura la magnifica retorica dell’assurdo, che da Camus in poi ha segnato il Novecento. Un realismo stilizzato che tende all’astratto, che prepara una trappola allo spettatore per costringerlo a svegliarsi e a fare i conti con la propria coscienza. La misura di un cinema vivo che sa rinnovarsi al di là della forma, utile per oggi e per sempre.

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