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Spider-Man 2: in fuga dalle responsabilità?

Se il primo film era metafora delle trasformazioni inquiete e incontrollabili dell’adolescenza, il secondo è specchio delle angosce dell’età adulta

  • 5 ottobre 2004

Spider-Man 2
USA 2004
Di Sam Raimi
Con Tobey Maguire, Kirsten Dunst, Alfred Molina

E’ opinione diffusa che i seguiti siano sempre peggiori dell’originale. Le trilogie (“Il Signore degli Anelli”, “Harry Potter”, “X-Men”) che spopolano in questo periodo sugli schermi sembrano sfatare tale preconcetto. Anche questo “Spider-Man 2” è un eccezione alla regola. Le nuove avventure del super-eroe con super-problemi, infatti, presentano ancora una volta il giusto mix di azione, straordinari effetti speciali digitali, tocchi di umorismo, storia d’amore e drammi familiari. Questa volta il «cattivone» è il dottor Octavius – magistralmente interpretato da Alfred Molina – che si trasforma nel visionario Octopus a seguito di un fallito esperimento per realizzare una nuova forma d’energia. Sam Raimi, sul modello di Peter Jackson e Brian Singer, dimostra di nuovo di sapersi districare in una colossale produzione hollywoodiana (“Spider-Man 2” è costato quasi il doppio del primo, 200 milioni di dollari contro 120) senza lasciar disperdere la sua personalissima visione d’autore (e qua e là – la sequenza in cui Doc Ock massacra i dottori che vogliono amputare le sue appendici meccaniche – si scorge pure un tocco gore prima maniera alla “Evil Dead”). Così, la cinepresa si muove sicura sia nel tracciare le coreografie che Spidey disegna con la sua rete nello skyline newyorkese, sia nel sondare quella ragnatela intricata che è la psiche dei protagonisti.

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Ancora più che nel primo episodio, qui il Nostro (in senso auto-identificativo ovviamente) eroe è tormentato da una intrinseca vulnerabilità (rischia più volte la pelle cadendo dai grattacieli e non vi è scontro epico che porti a compimento senza l’aiuto della «gente comune»). Se il primo film era metafora delle trasformazioni inquiete e incontrollabili dell’adolescenza, il secondo è specchio delle angosce dell’età adulta, del desiderio insopprimibile di fuga dalle responsabilità (Peter, infatti, decide a metà film di «gettare la maschera»). Dietro una patina superficiale di patriottismo a stelle e strisce, che sembra appiccicata lì per forza (vedi la lunga tirata di zia May sull’essere eroe) c’è solo fragilità e timore (vedi sempre zia May che lotta contro le banche, sommersa da mutui e debiti). L’America post 11 settembre ha bisogno di eroi. Il cinema di oggi non può dargli i John Wayne o i Rambo tutti ad un pezzo, ma i Frodo e i Peter Parker, esseri deboli, lacerati dai dubbi, insofferenti ai propri oneri. Insomma, non solo blockbuster; non solo roba per ragazzini. Contribuiscono a fare della saga di Spider-Man la migliore in assoluto del filone «supereroistico» anche la stupenda fotografia di Bill Pope (che cattura su schermo le sfumature cromatiche della carta stampata) e l’eccellente colonna sonora composta da Danny Elfman, ma in cui compaiono anche molte star del pop (un suggerimento: aspettate la fine dei titoli di coda per sentire Michael Bublé cantare il classico tema dell’Uomo Ragno).

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