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Tradizione e contemporaneità: Claudio Collovà racconta le sue Orestiadi

Il regista e direttore artistico Claudio Collovà parla delle "Orestiadi di Gibellina" tra passato e presente, con occhio attento al futuro e agli sviluppi delle arti sceniche

  • 16 agosto 2017

Claudio Collovà

Quella delle "Orestiadi di Gibellina" è una storia che nasce nel 1983: una storia fatta di ricerca, sperimentazione e innovazione che ha regalato agli spettatori emozioni e suggestioni. L'ultima edizione si è snodata nell'arco di un mese con un programma articolato in venti spettacoli, sette concerti e quattro prime nazionali: a raccontarla è il direttore artistico Claudio Collovà.

Un mese di eventi per l'edizione numero trentaquattro: come commenterebbe quest'ultima edizione delle "Orestiadi"?
In maniera assolutamente positiva. Sono estremamente contento di com'è andato il Festival: è stata una lunga programmazione, piena di soddisfazioni che arrivavano puntuali dopo ogni spettacolo. Peraltro, tutti gli spettacoli sono stati molto belli e il pubblico è stato presente e numeroso, apprezzando i nostri sforzi.

Qual è stata la peculiarità di questa edizione?
L'attenzione al rapporto che si sviluppa tra le arti, come ogni anno e più di ogni anno. Tutte le arti dialogano, ispirandosi a vicenda. Quest'anno il cartellone è stato ancora più ricco e c'è stata molta attenzione anche nei confronti della musica, che da sempre ispira l'arte e gli artisti. Gli spettacoli non sono mai convenzionali, sono sempre momenti di grande teatro, danza e musica fatta da grandi autori che esprimono un loro percorso personale. Noi presentiamo delle "tappe" che raccontano cosa succedono agli artisti.

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Arte, artisti, contemporaneità e tradizione: quanta ricerca occorre per portare in scena un cartellone del genere?
Dedichiamo tutti i mesi invernali alla programmazione, poi a gennaio presentiamo il cartellone al ministero. Si tratta certamente di una lunga ricerca segnata da una bella fatica che è... una fatica bella. Quando scelgo artisti e spettacoli mi sento animato da grande e severa curiosità. Inoltre per me è fondamentale conoscere personalmente gli artisti: non solo il loro lavoro, ma la loro persona.

A proposito di artisti, qual è la loro reazione quanto i loro lavori entrano a far parte delle "Orestiadi"?
Voglio partire dal presupposto che è passata da qui un'infinità di artisti e posso affermare che vedo sempre una grande emozione. Tutti quelli che arrivano alle Orestiadi sanno di star facendo parte di un Festival la cui storia è lunga e importante, carica di tradizione e di grandi precedenti. Ma non solo: vedo anche molta gratitudine per tutto quello che facciamo per loro.

E invece come definirebbe il pubblico?
Un pubblico complice, che ama gli artisti, che è curioso e presente. È un pubblico che e si ferma a dialogare con gli artisti e sapere che così mette tutti noi davanti alla responsabilità di restituire qualcosa di bello. Certamente sono moltissimi coloro che vengono da Gibellina, ma le soddisfazioni arrivano anche e soprattutto da chi viene da fuori: persone che si sentono davvero catapultate in un'isola felice.

Un'isola delle arti: si potrebbe dire che è il luogo stesso a "parlare"?
L'esito delle "Orestiadi" deriva sicuramente anche dal luogo speciale in cui si svolgono. Vorrei, insieme ai miei collaboratori, fare in modo che questo posto torni anche sede di laboratorio, con spazi dedicati alla ricerca, alla sperimentazione, all'innovazione. E vorrei tornare al Cretto di Burri come sede di spettacoli.

Le "Orestiadi" sono nate nel 1983: quanto sono cambiate?
Il nostro è un Festival che ha una missione specifica: raccontare il contemporaneo. È cresciuto tanto sia nei finanziamenti che nell'apprezzamento del pubblico, nella qualità degli artisti che era già alta e lo diventa sempre di più. L'idea però è sempre quella del fondatore Ludovico Corrao: lanciare e portare avanti un messaggio di rinascita culturale parlando di arte e bellezza. Non è mai stata una passeggiata ma un lavoro che non si limita al mese delle Orestiadi ma che copre tutto l'anno.

Lei è il direttore artistico delle "Orestiadi" da nove anni. Come sintetizzerebbe questa esperienza?
Come un'esperienza molto bella, diversa dall'andare in scena. Sono felice anche del fatto che a me in quanto artista sia stata data la possibilità di fare il direttore artistico: è una bella possibilità che dovrebbe essere data a tutti gli artisti, perché solo chi conosce bene il mondo dove lavora può capirlo bene. Inoltre lavoro con un gruppo di persone splendide che ama questo lavoro. E ama farlo qui.​​​​​​

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