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“Verbò”, quando la passione è martirio

  • 14 settembre 2004

Uno spettacolo intenso e viscerale, questo è “Verbò” di Giovanni Testori, prodotto dal Teatro Garibaldi di Palermo (via Castrofilippo n.30) insieme al Centro Culturale Francese e all’Unione dei teatri d’Europa, per la regia di Jean René Lemoine, magnificamente interpretato da Marco Foschi e Tommaso Ragno, scene e costumi di Mela Dell’Erba e luci di Mauro Avrabou, qui in cartellone fino al 15 settembre per l’interessante stagione 2004. “Verbò” porta in scena una passione distruttiva, quella fra i due poeti maledetti Verlaine e Rimbaud  e quella che si scatenò dall’incontro fatale fra l’autore e l’attore Franco Branciaroli, un’opera sentita e assai personale, la più violenta della trilogia formata con “Confiteor” e “In exitu”, e che segnò il debutto dello stesso autore come attore nell’89. E “Verbò” non è solo la fusione dei nomi dei due poeti ma è anche verbo, parola, quella parola la cui inutilità qui si celebra per rendere invece sacramento quel che della parola viene prima, l’essenza, il suo assoluto, quella stessa essenza che della passione rimane quando tutto si è compiuto, quando la storia viene scomposta, frantumata, così come avviene sulla scena e per la vicenda e in parallelo per la parola.

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Il rito si compie in uno spazio  dominato dal rosso, e non poteva essere diversamente essendo questo il colore della passione, dove alla ieratica  sofferenza di Tommaso Ragno (nei panni di Verlaine e Testori) scolpita dalla splendida voce dell’intenso attore si contrappone la furia esplosiva della terrificante vitalità di Marco Foschi (Rimbaud e Branciaroli). È  agli attori che la regia affida ogni cosa e questi egregiamente assolvono al loro compito eseguendo un martirio (ed è al doppio senso della parola così come inteso da Rimbaud che si deve fare riferimento), il martirio di una passione che brucia, di un amore disperato, di una parola senza valore, un martirio che prende corpo in uno spazio che ne è il luogo per elezione, il teatro Garibaldi, e non solo perché il lavoro è qui che è stato creato.

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