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Zelle Arte e la quotidianità del sacro

  • 18 aprile 2005

Uno spazio minimo, di pochi metri quadrati, essenziale ma ben fatto, e dalle potenzialità altissime: questo è Zelle Arte Contemporanea, nuova sede espositiva inaugurata da pochi giorni in via Matteo Bonello 19, dietro la cattedrale (orari: giovedì, venerdì e sabato dalle 16.00 alle 20.00, gli altri giorni su appuntamento al cell. 339.3691961 - zelle@zelle.it, www.zelle.it), che ha dato il via alla sua attività con la mostra del pittore e fotografo Igor Scalisi Palminteri dal titolo “Prendete e mangiatene tutti” (visitabile fino al 30 aprile). Nella sua scala ridotta, Zelle si affianca ai (pochi) luoghi cittadini dedicati agli ultimi linguaggi dell’arte e a un target di giovani artisti e di giovane pubblico che attinge a piene mani, come punto di partenza, al bacino d’utenza degli studenti e delle Accademie; dall’Accademia di Palermo (che quasi confina con Zelle) provengono, infatti, sia Igor Scalisi, il protagonista della mostra inaugurale, sia Federico Lupo, l’ideatore e gestore di Zelle, un giovane e promettente artista che si dedica al video e alle installazioni sonore.

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Lui stesso traccia in poche righe la fisionomia della sua ‘cellula’ (in tedesco, Zelle): “Zelle è un sovrappiù, un reflusso del territorio, un organismo unicellulare che non crea filosofie di sorta né tanto meno propone risultati o situazioni tipo, si lascia osservare accostandosi al naturale interagire degli eventi, al loro sovrapporsi, talvolta al loro annullarsi”. Zelle non sceglie, dunque, un medium artistico da privilegiare, né un’unica fisionomia, e ogni artista che vi esporrà potrà ridisegnare lo spazio, come “un quaderno di appunti” da tracciare in chiave personale. In questo elogio del piccolo non possiamo tralasciare di commentare positivamente le opere di Igor Scalisi, che continua a giocare con il sacro, con Santi e Ultime Cene riconducendoli in una dimensione di quotidianità, mettendo al posto del Cristo o di un San Giovanni la fisionomia sua o di altri personaggi del vissuto, e rivisita episodi evangelici o l’agiografia dei santi in chiave surreale, con stranianti associazioni, a tratti vagamente macabre, come un’Ultima cena a base delle proprie budella (...ma se ci si pensa un attimo, in fondo, in chiave metaforica proprio di questo si trattava...). Accanto ai quadri, le fotografie, sempre di raffinata chiarezza e forza pittorica, stavolta dominate da tinte terse, solari, che ritraggono gli oggetti del pranzo di tutti i giorni, ma che assumono l’inquietante aria degli strumenti della tortura. Da vedere.

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