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Memorie di un "cantiere" lungo 35 anni: quando il Teatro Massimo aprì le porte a Palermo

Nella serata del 50esimo fu riproposto il Falstaff con il grande Mariano Stabile nella parte del "Pancione". Un'occasione di mondanità e ricordo del tormentoso cammino

Susanna La Valle
Storica, insegnante e ghostwriter
  • 16 maggio 2021

Il Teatro Massimo di Palermo in una foto d'epoca

Il 16 maggio del 1947, in occasione del Cinquantesimo dell’inaugurazione del Teatro Massimo di Palermo, l’Ente Autonomo realizzò una pubblicazione per gli abbonati.

Fu qualcosa oltre il dato "economiastico", ma una cronaca sulla realizzazione del teatro, durata per ben 35 anni. Vicenda che nella prefazione narra «quale danno possa produrre la commistione tra Arte e Politica, in troppe e lontane sfere vivono le due cose troppi elementi impuri sono contenuti nella seconda, perché dal loro contatto non nasca contaminazione».

Nella serata del cinquantenario fu riproposto il Falstaff con il grande Mariano Stabile nella parte del "Pancione", fu un’occasione di mondanità e ricordo del tormentoso cammino del Teatro.

Quando Basile presentò il suo progetto, studiò attentamente gli altri teatri d’opera, e in tutti colse qualche elemento negativo, che accuratamente evitò nella sua progettazione dove le tre parti - Vestibolo, Sala, Palcoscenico - furono ideate in un rapporto preciso senza che l’uno diminuisse l’altro.
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Maria Accascina nella pubblicazione del 1947 scrive di come nel teatro vuoto e silenzioso si poteva scoprire «nello spazio, la divina Armonia di Pitagora». La costruzione si rese necessaria per far fronte all’accresciuta popolazione della città.

I Borbone avevano lasciato una Palermo con diversi problemi, scarsità di acqua potabile, una rete fognaria insufficiente, poche strutture ospedaliere e scuole, i teatri presenti, vetusti e carenti in numero di posti. Sembra che l’idea fu suggerita da Damiani Almeyda, che rifiutò di occuparsi del progetto, preferendo partecipare alla stesura dei requisiti per il Concorso.

Si iscrissero in 35, con architetti provenienti anche dall’estero. Fu stabilita una grande mostra aperta al pubblico per visionare tavole e archetipi. Lo spazio espositivo, previsto per 2 mesi, fu individuato nella Chiesa di San Domenico, ma la mostra durò due anni con grande disappunto dei fedeli, che si videro restituiti il luogo di culto, solo nel 1869.

Presidente della Commissione fu nominato un tedesco Gottfried Semper. Furono quindi stabiliti i punteggi e premi per i primi cinque classificati, con un primo premio 25.000 Lire. Vincitore fu l’architetto Giovan Battista Filippo Basile con il suo progetto contraddistinto dal numero 18.

Il risultato pubblicato dai giornali di Palermo, provocò una serie di malcontenti e proteste provenienti da esperti e politici. Le critiche fecero sospendere il concorso a tempo indeterminato. Uno dei punti della controversia fu l’impossibilità di attenersi all’insufficiente cifra prevista nel bando di concorso che ammontava a Lire 2,500.000.

Nessuno dei partecipanti riuscì a rispettarla, situazione che non passò inosservata alla giuria, che nell’accettazione dei progetti decise di ignorarla. Ma vi furono altre questioni, difficili da comprendere ma che fecero dichiarare nel 1869 "fallito" il concorso.

Ai primi cinque arrivati fu dato a titolo di indennizzo il premio dovuto con la rinuncia a ogni pretesa sui lavori che sarebbero diventati di proprietà del comune. Passarono 5 anni e nel 1874 furono ripresi i progetti cercando di adeguarli alla cifra stabilita. Basile eliminò parte del progetto, lasciando l’essenziale, tutto il resto poi sarebbe stato realizzato con altri fondi.

Nonostante questi tagli, la Tesoreria decise di aumentare i fondi e finalmente fu deliberata la costruzione del teatro. Fu individuata l'area di esproprio nella zona settentrionale della città, una zona di campagna con villini e edifici religiosi, oltre porta Maqueda che fu abbattuta.

Presenti su quei terreni c’erano due congregazioni: il Monastero delle Stimmate di San Francesco e l'Immacolata Concezione a San Giuliano, con due chiese Santa Marta e San Lorenzo. Tutto fu demolito.

L’appalto per la costruzione fu vinto dall’impresa Rutelli- Machì (Giovanni Rutelli fu un grande costruttore, i suoi discendenti, la Famiglia Pandolfini, conserva i disegni della Gru a carbone realizzata dalla ditta per l’occasione, modellino ancora presente all’interno del teatro.)

Così il 15 gennaio 1875 alla presenza del sindaco Emanuele Notarbartolo, fu interrata la prima pietra. Incominciarono i lavori, erano trascorsi 10 anni dal concorso.

Durante la costruzione fu chiaro che portare a termine solo una parte sarebbe stato un inutile spreco, furono erogati altri fondi. Trascorrono 4 anni, quando un "solerte" tecnico rilevò un ulteriore e ingiustificato aumento di spesa.

Fomentati da politici, i lavori furono sospesi, l’ingegner Capo dell’Ufficio Tecnico Labiso, destituito senza diritto alla pensione, a Basile negata la vittoria, l’impresa Rutelli-Machì fece causa al Comune per mancati pagamenti.

La questione andò avanti fino al 1888, quando riaprì il cantiere. L’idea era di terminare per l’esposizione del '91, ma non fu possibile. In quello stesso anno Basile morì all’improvviso che non poté vedere realizzato il suo progetto, dopo tante lotte e amarezze. Continuerà il figlio Ernesto Basile, che terminerà nel 1897.

Così il 16 maggio 1897, dopo 35 anni dalla posa della prima pietra, il Teatro Massimo aprì al pubblico con l’Opera Falstaff di Verdi, dove si fece notare un cantante a inizio carriera, fortemente voluto da Ignazio Florio, Enrico Caruso.

I prezzi furono piuttosto alti, ma in due giorni i botteghini ebbero il sold out.

Nonostante si rischiò di vedere rimandata l’inaugurazione per un problema di agibilità (ritenuta una maledizione del fantasma di una suora, i cui resti furono trovati un una delle chiese demolite, e che infestò il cantiere durante i lavori), alle 21 in punto iniziò l’Inno Reale, tutto il pubblico si alzò in piedi per applaudire, si aprì il grande sipario di Sciuti.

Il meraviglioso Teatro Massimo incominciava il suo luminoso cammino.
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