MISTERI E LEGGENDE
Nei giorni di bufera qui arrivano le streghe: la città in Sicilia tra magia nera e miracoli
Una terra impregnata di leggende oltre i confini della realtà. Tanti e diversi i racconti di eventi misteriosi su rivolte e fatti di sangue, con strane apparizioni
Il castello di Paternò
Sicuramente abbiamo bisogno di un continuo senso di mistero e meraviglia: non è forse l'inconoscibile che ci rende interessati alla vita?
Non è la voglia di scoprire qualcosa di nuovo che ci mantiene vivi? A proposito di storie misteriose, la cittadina di Paternò, situata a circa 20 chilometri di distanza da Catania, ne è ricca.
Lo abbiamo scoperto grazie al libro Paternò arcana di Giorgio Gaetano Ciancitto e Mario Cunsolo, edito da Algra edizioni. Gli autori narrano le storie e le leggende di Paternò, luogo centrale della fertile Valle del Simeto, un territorio ricco di storia dove già 4-5000 anni fa vi erano insediamenti e villaggi.
Attraverso i racconti è possibile conoscere alcuni eventi molto misteriosi. Un episodio della storia di Paternò poco conosciuto e ammantato di leggenda è quello della contessa Giovanna Eleonora di Luna, moglie del conte Antonio Moncada: siamo agli inizi del ‘500 quando la giovane figlia di Sigismondo di Luna, conte di Caltabellotta, viene data in sposa ad Antonio, rampollo della famiglia dei conti di Adernò.
Dei quattro figli avuti dalla coppia, che visse a lungo sulla collina di Paternò, l’ultimo, Francesco, acquisirà per primo il titolo di Principe di Paternò, grazie anche al fatto che il Conte Antonio, fedele al Vicerè in un epoca di sollevazioni e congiure, farà carriera divenendo Capitano d’Armi per tutto il Val di Noto.
Fin qui la Storia, che poco però dice di Giovanna Eleonora, la sua figura è legata invece ad una leggenda, tramandata nei racconti popolari, la quale narra che la contessa in seguito alla morte del figlio piccolo, caduto dalla culla per la rottura dei lacci che la sorreggevano, disperata, si precipitava dall’alta rupe, a levante della collina, lì dove oggi sorge il Santuario della Consolazione, restituendo così l’anima a Dio.
Da allora, il fantasma della donna, tutte le sere, rientra per una finestra del Castello, cercando la culla e le spoglie dell’infelice suo bambino, e poi ritorna inconsolata, all’apparire dell’alba, sulla stessa rupe, testimone di pietra, posta a narrare eternamente quella tragedia.
Gli storici ricordano l’esistenza del corpo mummificato di Donna Giovanna, conservatosi sui luoghi fino ai primi del ‘900, quando, ritrovato da alcuni ragazzi presso i ruderi del Convento di San Francesco, venne lanciato dentro al pozzo ancora esistente al centro del chiostro, distruggendo la teca che lo conteneva e disintegrandolo.
Fu così che i poveri resti della Contessa Donna Giovanna Eleonora de Luna, Signora di Paternò dal 1510 al 1531, proprio come la memoria della sua vicenda, finirono in un pozzo buio, e lì, a quanto pare, restano ancora oggi.
Un altro mistero è quello che riguarda Albano Pietro Carmelo Moncada, meglio conosciuto come Padre Michele.
Le storie che aleggiano attorno alla sua figura sono molteplici come le testimonianze storiche riguardo alla sua vita sofferta, ma soprattutto alle guarigioni miracolose compiute dopo la morte per le quali il suo culto assumerà i connotati della leggenda.
Numerose persone hanno testimoniato infatti di aver visto il frate, da morto, in ginocchio ai piedi dell’altare; e così la salma inumata nella cripta del Convento dei Cappuccini sulla collina divenne meta di pellegrinaggio, i frammenti dei suoi abiti, ritenuti miracolosi, vengono portati via dai fedeli, o usati dai frati del convento per guarire i malati.
Nel 1930, dopo 165 anni dalla morte, avvenuta, come egli stesso aveva predetto, il primo gennaio 1765, il suo corpo viene ritrovato incorrotto, meno della punta del naso. Venne collocato in un’urna lavorata in legno intagliato, sulla quale fu apposto lo stemma gentilizio di casa Moncada assieme agli emblemi francescani.
La messa di rito celebrata in quella occasione fu solenne e una grande folla accompagnò Padre Michele nella nuova chiesa di S. Francesco all’Annunziata, dove oggi si trova.
Una delle più grandi tradizioni misteriose di Paternò riguarda le streghe, protagoniste di innumerevoli racconti legati alla città. La presenza di queste storie si spiega con la presenza della Santa Inquisizione e del suo insediamento in Sicilia.
Nel registro dell’Inquisizione Siciliana, sono presenti uomini e donne paternesi tacciati di stregoneria e puniti secondo colpa: molti di questi erano ebrei.
Una donna paternese, Diana Rosso, venne condotta a Palermo e lì, nel Piano della Loggia, davanti alla folla intervenuta, bruciata viva: era domenica 19 maggio 1549.
Se questa è storia, numerose sono invece le leggende popolari legate alle streghe, circolanti a Paternò: una di queste tratta delle streghe che ogni venerdì, catapultandosi come furie dal vulcano Etna, luogo della loro dimora, si riunivano intorno ad un tiglio in zona Piano Cesarea, per incontrare il Demonio, celato sotto le spoglie di un capro.
Ciò avveniva nei giorni di bufera e nelle notti di tregenda, quanto più infuriavano gli elementi, lampi, tuoni, scrosci di pioggia e rovesci di grandine, tanto più le acute strida delle streghe crescevano di intensità fino a sovrastare la furia scatenata delle intemperie.
Dopo averlo salutato con l’osculum infame cominciavano a danzare e a banchettare con vivande succulente e carne di bambini.
Alla fine il demonio spariva e le streghe si trasformavano in venti, lasciando sul posto cenere e sporcizie. Anche le streghe di Paternò, come nella tradizione, non risparmiano i poveri bambini; esiste infatti un’altra leggenda per la quale gettando un neonato non battezzato dalla rupe della strega, a mezzanotte esatta, sarà possibile trovare i tesori che il demonio elargirà.
Lungo la vecchia strada che da Paternò porta a Santa Maria di Licodia, esiste ancora oggi un "chiano", vicino ad una masseria abbandonata, ricordato perché era il luogo in cui operava Donna Brigida.
La leggendaria megera urla con voce lontana e lamentosa invitando gli uomini ad avvicinarsi a lei, i suoi occhi sono di fuoco e il suo richiamo è irresistibile.
La strega invita il suo “ospite” a cavalcare un montone nero che emette dalle narici fuoco e fumo come se venisse dall’inferno: è impossibile sostenere lo sguardo della donna e resistere al suo terribile aspetto, ma solo chi fosse riuscito a cavalcare il montone non voltandosi mai indietro, avrebbe ottenuto in cambio una ingente fortuna.
A confermare che l'interesse verso le questioni misteriose sia innato è il professore di psicologia transpersonale John Moores, insegnante all'Università di Psicologia di Liverpool: "Il senso del mistero è intrinseco nella mente umana, è la nostra eredità evolutiva, ci sprona a usare l'immaginazione per colmare le nostre lacune".
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