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Palermo e il Piano Regolatore Generale atteso da cinque anni: 10 domande a Flavio Casgnola

È lo strumento principe della disciplina urbanistica che traccia le norme pianificatrici a cui tutti i cittadini devono e senza deroghe attenersi. Ne parliamo con uno dei maggiori conoscitori

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 18 maggio 2021

Porta Felice e La Cala di Palermo visti dall'alto

La città intera e dunque studiosi, professionisti, associazioni di categoria come quelle di costruttori e commercianti, investitori, sportivi, semplici cittadini, attende insieme, da almeno cinque anni che la governance della città pubblichi finalmente il nuovo Piano Regolatore Generale "P.R.G.", strumento principe della disciplina urbanistica a cui per legge spetta il compito di tracciare le norme pianificatrici a cui tutti i cittadini devono e senza deroghe attenersi per la costruzione di qualunque opera piccola o grande che sia.

Nell'immaginario collettivo esiste molta confusione a riguardo e spesso la politica ha giocato maliziosamente sul fatto che non tutti abbiano davvero chiaro che le ricadute di un buon o brutto piano urbanistico incidano senza esclusione di ruoli o ceto sulle singole vite di ogni cittadino. C'è chi crede che sia sempre lo stesso piano da sempre, chi addirittura che sia annuale, c'è chi pensa che sia argomento di discussione per soli studiosi addetti ai lavori, chi immagina che Palermo non abbia mai avuto un Piano.
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Ho chiesto quindi al collega Flavio Casgnola, architetto (siciliano d'adozione) con mezzo secolo di professione sulle spalle e tra i maggiori conoscitori di quella disciplina urbanistica che in Sicilia si complica a causa spesso di norme poco chiare che sembrano farsi la lotta a vicenda, di chiarire alcuni punti strategici nel tentativo di costruire maggiore consapevolezza riguardo questo prezioso strumento pianificatorio tra i pochi atti ancora demandati per legge alla sensibilità dei singoli consigli comunali. Ecco le domande e le relative risposte:

Secondo lei nel 2021 lo strumento urbanistico del P.R.G. è ancora uno strumento adeguato per dare risposta alle complessità delle città italiane e maggiormente di quelle siciliane?

Ribalto la domanda: esiste un altro modo? Occorre però capire che vi sono quasi infiniti modi per pensare un PRG, pochissimi veramente efficaci e, probabilmente, solo uno, per usare la tua espressione, veramente "adeguato" a quella realtà alla quale è destinato.

Perché è importante che una città come Palermo, la quinta d'Italia, abbia un P.R.G. aggiornato e ben ponderato?

Ovviamente è importante per ogni città, ma per Palermo direi che è più che importante, è indispensabile ed urgente.
Palermo non è solo la quinta città d'Italia, è anche la sola ed unica città che abbia avuto in passato, dalla unificazione al secondo conflitto mondiale, importanti e innovativi progetti di pianificazione, attuati alcuni e non attuati altri e, di contro, pessimi PRG.

È la città tristemente nota per il "sacco di Palermo", ovvero la più grande speculazione edilizia avvenuta in Italia nella storia della Repubblica che abbia interessato un'intera città, che ne ha stravolto le caratteristiche e, in molti casi, cancellato definitivamente la fisionomia e, con essa, interi brani urbani, interi quartieri, insomma, interi pezzi di città.

Tra l'altro, da un lato, andando a sostituire questi con edilizia, in larghissima parte, di nessun valore architettonico ed in generale di scarsa qualità, e dall'altro (forse potremmo dire, paradossalmente, per fortuna) "dimenticandosi" del centro storico che, altro esempio unico, probabilmente non solo italiano ma anche europeo, presenta ancora oggi ben 11 ettari di ruderi causati dai bombardamenti

E questo, che so lei stai studiando da tempo con scrupolo, le sembra un buon piano? Perché si o perché no?

In verità solo da quando ne è stata data la possibilità a tutti, quindi da pochi giorni, ovvero da quando è stata trasmessa al Consiglio Comunale la proposta di delibera, anche se ne seguo il travagliato itinere sin dall'inizio della stesura delle linee guida.

Non sono ancora, quindi, nelle condizioni per esprimere un giudizio definitivo, tuttavia stanno già emergendo importanti e significativi indizi che, temo, mi porteranno ad un giudizio negativo.

Astengo, Piccinato, Samonà, Caracciolo, Cervellati, Benevolo, Bohigas, tutti intellettuali prestati alla disciplina urbanistica che hanno nel corso del secolo scorso dato risposte importanti anche qui in Sicilia, e oggi? A chi si è affidato il comune di Palermo per quest'ultimo piano?

Che io sappia è un lavoro fatto totalmente in house dall'Ufficio del Piano costituito ad hoc dal Comune di Palermo.
La cosa, di per sè, non rappresenta necessariamente un aspetto negativo, ovviamente nemmeno positivo, diciamo che, però, avrebbe potuto rappresentare una importante novità metodologica se al lavoro in house, e quindi all'aver rinunciato ad una figura prestigiosa di riferimento o ad un team, scelto magari attraverso un concorso internazionale, si fosse accompagnato un processo partecipativo aperto al confronto con la città e le realtà che la rappresentano del mondo della cultura, delle arti e delle professioni, delle attività produttive e così via.

ma ahimè, così non è stato, anzi è avvenuto esattamente il contrario, il livello di segretezza delle attività svolte è stato tale da far sembrare il processo di elaborazione del PRG una sorta di progetto Manhattan (programma di ricerca e sviluppo in ambito militare che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche n.d.r.), quasi che fuori da quegli Uffici ci fosse "il nemico" e non una città che avrebbe potuto e dovuto dare il suo importante e fondamentale contributo di idee ed istanze.

A regime, quando avverrà, la città di Palermo avrà tre piani urbanistici coagenti, oltre il P.R.G., il Piano Regolatore del Porto ed il futuro Piano Particolareggiato per il Centro Storico. A suo giudizio è un modello che nella specificità palermitana può funzionare e dare buoni frutti e perché?

Intanto cerchiamo di capire perchè questo accade.
Occorre fare una distinzione: per quanto riguarda il Piano Regolatore del Porto, non è un capriccio politico o burocratico ma è espressamente una legge che lo prevede laddove, appunto come nel caso di Palermo, esiste una Autorità portuale che, ricordiamolo è un ente pubblico autonomo con personalità giuridica creato per gestire uno o più aree portuali: nel caso nostro: Palermo, Termini Imerese, Trapani e Porto Empedocle.

Questo non vuol dire che tra i due enti (Autorità portuale e Comune ) non vi debba essere confronto e condivisione di linee guida, tutt'altro, è proprio la stessa normativa di riferimento che lo stabilisce con sufficiente chiarezza: Il piano regolatore portuale è adottato dal comitato portuale previa intesa con il Comune interessato.

È anche importante ricordare che il porto di Palermo è uno dei maggiori porti del Mediterraneo, sia per traffico passeggeri, sia per dimensioni e ingloba l'antico porto della Cala e le storiche borgate marinare dell'Arenella e dell'Acqua Santa.
Trovo quindi assolutamente corretto, data la rilevanza strategica sotto svariati aspetti, che l'Autorità Portuale possa disporre di un suo P.R. ma ritengo anche indispensabile che, ovviamente, questo Piano, debba anche "dialogare" con il resto del territorio cittadino. Ed in verità ciò è avvenuto e sta avvenendo e, paradossalmente, più per merito della Autorità Portuale che non del Comune.

Sono infatti stati portati a termine dall'Autorità Portuale, o sono in fase di realizzazione e completamento, alcuni tra i progetti di riqualificazione di maggiore qualità architettonica che la città possa vantare, come per esempio la rigenerazione della Cala (progetto a firma Giulia Argiroffi e Sebastiano Provenzano) presentato all Urban regeneration forum di Bilbao nel 2016, quell'anno dedicato alla rigenerazione dei fronti a mare urbani, selezionato tra i più importanti progetti europei, e presentato come significativo esempio per la sua capacità di rigenerare un luogo del tutto dimenticato della città.

Ma ancora il recupero di Castello a Mare, oppure il nuovo fronte del porto, interventi in parte in esecuzione ed in parte già programmati e finanziati.

Perché secondo lei, nelle evidenti difficoltà che gli uffici comunali passano da almeno un decennio a questa parte in termini soprattutto di personale ridotto, chi di dovere non ha chiesto all'Università che ha sede proprio in città e gode di un'ottima Scuola di Pianificazione all'avanguardia, di occuparsi attivamente di un tassello così importante per il futuro della città, anche studiando un modello virtuoso di partnership?

È una domanda che ovviamente dovresti rivolgere ha chi ha deciso diversamente, e quindi al Sindaco. C'è l'Università, ci sono gli Ordini professionali, le fondazioni, le associazioni di categoria, insomma, tanti portatori di interessi che, magari, attraverso un processo di partecipazione reale avrebbero potuto, come ho già detto, arricchire di contenuti e di "visione" il lavoro che gli uffici stavano portando avanti.

Da quanto ha avuto modo di seguire negli ultimi anni e studiare adesso attraverso le specifiche fornite al consiglio comunale, questo è davvero un piano "green" e a consumo di suolo zero?

Al di là di ciò che io penso, è un dato di fatto che i PRG producono effetti sulla città, positivi o negativi che siano, non tanto e non solo per quello che "dicono di voler perseguire" attraverso lo strumento generale, ovvero il piano stesso, quanto piuttosto attraverso gli strumenti di attuazione, ovvero piani particolareggiati, di lottizzazione, progetti speciali ecc, in tal senso, leggere nella relazione generale, testualmente, che: "La progettazione del nuovo Piano è stata definita ad una scala di grande dettaglio, per limitare il più possibile il rinvio a piani particolareggiati attuativi e per consentire l'attuazione diretta delle previsioni nella maggior parte dei casi...", diciamo che, al di là dell'assunto in sè, piuttosto discutibile, la cosa non mi tranquillizza affatto.

Una curiosità che mi chiedono in molti è: perché si autorizzano così tanti nuovi supermercati e per istituire un parco come quello di Villa Turrisi non si riesce ad avere ancora una data?

Ti rispondo più da cittadino indignato che da architetto sensibile ai temi della bellezza e della sostenibilitò (anche se ormai, ahimè, vivendo a Palermo le due anime coincidono), evidentemente perchè questa amministrazione è più "sensibile" alle richieste degli imprenditori (peraltro spesso multinazionali) piuttosto che a quelle dei cittadini e, meno ancora, a quelli delle periferie come appunto nel caso specifico di Villa Turrisi.

Intravedi dei rischi per il verde residuo della Piana dei Colli o trovi che i vincoli posti da questo piano siano già di per sé bastevoli?

Sinceramente, come hai già bene anticipato tu, più di quanto disastroso già è stato fatto, non sarà facile, tuttavia, come si suol dire, al peggio non c'è mai fine. Ma voglio essere ottimista e spero che quella che, per fortuna, sembra essere una tendenza ormai chiara e consolidata di politiche incentivanti la sostenibilià, produca anche a Palermo un "effetto convenienza" tale da rendere appunto più conveniente un intervento di riqualificazione e rigenerazione, rispetto ad un qualsiasi altro.

A suo giudizio, c'è una città in Europa che avrebbe potuto rappresentare per Palermo un modello virtuoso da seguire?

Beh, chiudi con una domanda facile... Barcellona è esattamente "il modello", e non solo per Palermo ma per ogni città con caratteristiche simili e non solo. Palermo è oggi, più o meno, nello stato in cui si trovava Barcellona una quarantina d'anni fa.
Barcellona è città che ben conosco e che amo particolarmente anche per legami parentali, ma torniamo all'urbanistica.

È sempre un mix di fattori quello che determina una reale trasformazione urbanistica, profonda e significativa di una città e, ovviamente, per quanto importante ed indispensabile, non basta solo un PRG visionario e coraggioso, occorre anche una buona occasione, una buona amministrazione e adeguate risorse.

La buona occasione per Barcellona arrivò nel 1981 con la candidatura alla 15ª edizione delle Olimpiadi, che si sarebbero disputate da lì a 11 anni, nel '92. Non pochi erano i problemi urbanistici della città di allora, solo per citarne alcuni: la mancanza di un piano di sviluppo della zona costiera, l'assoluto stato di abbandono della montagna di Montjuic, il degrado di ampi brani di tessuto urbano prossimo alla zona portuale, ma anche periferici, caratterizzati da insediamenti industriali dismessi, tutte problematiche simili alla Palermo che tutti noi ben conosciamo.

Nel 1981, Barcellona ancora non sapeva se sarebbe stata designata come futura sede olimpica, tuttavia iniziò immediatamente a investire le poche risorse di cui poteva disporre al miglioramento dello spazio pubblico, la cittá però aveva bisogno di un cambiamento in grande scala e le municipalità mai sarebbero riuscite ad attuare tutte le opere di necessarie alla città e indispensabili all'evento, con risorse così limitate.

La vera svolta arrivò cinque anni dopo, nel 1986, quando Barcellona ricevette la notizia che era stata scelta come sede dei giochi e l'amministrazione di allora, certamente illuminata, capì che era il momento giusto e l'occasione perfetta per trovare le risorse necessarie per la trasformazione radicale che la città attendeva.

La scelta vincente fu quella di agire contemporaneamente su tre fronti: creare lavoro, decentralizzare le funzioni gestionali e stimolare la collaborazione tra il settore pubblico e privato. Scelta vincente che, però, ebbe anche la fortuna di poter contare sulla capacità organizzativa e visionaria di Pascual Maragall nella doppia veste di sindaco della città e di presidente del comitato olimpico.

Il piano che venne predisposto identificò quattro aree urbane prioritarie sulle quali agire sia in funzione dei servizi necessari sia in ambito rigenerativo: Montjuic, come detto totalmente abbandonata dopo la l'Expo universale del 1929, la costruzione ex novo del quartiere della cittadella olimpica, nella zona costiera in decadenza occupata da scali ferroviari e industrie dismesse, la Vall d’Hebron, spazio urbano libero, convertito in parco urbano e la via Diagonal, oggetto di definizioni di dettaglio molto significative in termini di qualità del paesaggio urbano.

Altra figura di rilievo sulla quale la città potè contare l'architetto Josep Acebillo che coordinò dall'81 al 94 l'intera trasformazione urbana e che vide la città aggiungere al notevole patrimonio monumentale e architettonico che già la caratterizzava, tutta una serie di opere che la consegnano oggi ai residenti ed ai visitatori come capitale culturale internazionale tra le più belle e importanti del pianeta.

Tanto che nel 1999 la città di Barcellona fu premiata dalla RIBA con la Royal Gold Medal, un premio che solitamente viene attribuito ad architetti e che, invece, che per prima e unica volta fu attribuito a una città! In quei 13 anni vennero realizzati, oltre a tutta la trasformazione urbana e nel contesto di quel piano, opere come la Torre de Collserola di Norman Foster, l'Auditori di Rafael Moneo, il Palau Sant Jordi di Arata Isozaki, il Teatre Nacional de Catalunya di Ricardo Bofill , la torre delle comunicazioni di Santiago Calatrava.

Ecco, forse quello che manca oggi a Palermo, prima ancora delle risorse economiche, sono proprio un Pascual Maragall ed un Josep Acebillo...
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