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Prima di Poggioreale c'era anche Elima: la visita nella vecchia città che sovrasta i ruderi

Era il 1876 quando il docente universitario monsignor Vincenzo Di Giovanni suppose l’esistenza di una vecchia città vicino a Poggioreale. Ve la raccontiamo

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 27 marzo 2023

La vista da Monte Castellaccio sui ruderi di Poggioreale

Era il lontano 1876 quando il docente universitario monsignor Vincenzo Di Giovanni suppose l’esistenza di una vecchia città (Elima) vicino a Poggioreale (distrutta dal sisma del ‘68). Da quel momento e successivamente, la sua tesi venne confermata e oggi, siamo i fieri testimoni del sito di Monte Castellazzo (o Castellaccio).

Il territorio poggiorealese si trova nell’entroterra trapanese e l’ambiente è demarcato dalla presenza dei Monti di Gibellina. Posto sul lato orientale degli stessi, il M. Castellazzo (615 metri s.l.m) rappresenta un punto di grande interesse storico.

La visita inizia all’interno dei ruderi di Poggioreale. Un luogo avvolto dal silenzio, surreale, dove tutto si fermò tra il 14 e 15 gennaio del 1968.

Un paese rimasto intatto e circondato dalla vegetazione ormai padrona del territorio. Uscendo dal vecchio centro la statale è l’unica via d’accesso per raggiungere il monte. Il distacco dai ruderi è pesante da accettare e solo la curiosità di salire sopra un rilievo a forma tronco-conica può distrarre il pensiero dal passato. Un paio di chilometri separano i due luoghi.
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La conformazione del sito richiama la topografia degli insediamenti arroccati in collina tipici dell’Età del Ferro in Sicilia. Una sommità costituita da una piattaforma inclinata a meridione e fiancheggiata su tre lati da pareti a strapiombo e da costoni scoscesi. L’unica via d’accesso è nella parte meridionale.

La prima conferma dell’esistenza di un centro abitato preistorico si ebbe nel 1956 grazie a Vincenzo Tusa. Casualmente scoprì la Pietra di Poggioreale (epigrafe arcaica) in dialetto dorico selinuntino con dedica a Eracle. Fu trovata a circa 3 km a sud della montagna.

Dimostrava l’importanza e l’espansione di Selinunte verso l’interno lungo la valle del Belice. La città era probabilmente protetta da un muro di fortificazione realizzato in grandi blocchi di calcarenite con presenza di una porta monumentale d’accesso all’abitato. Delimitava un’area di circa 12 ettari.

La mancata continuità delle spedizioni (1967, 1976-82 e 2008-2009 le più influenti) hanno portato alla luce diversi tipi di rinvenimenti suddivisi in cinque campi. Il periodo di maggior riflesso economico si ebbe nell'età tardo-arcaica. (VI-V Sec. a.C.). Una serie di distruzioni e un grande incendio segnarono il declino e difatti, rimangono poche tracce del passato bizantino e arabo-normanno.

È stata rilevata una storia lunga e quantificata in sette fasi o livelli di occupazione.

Sono numerose le scoperte realizzate nel 1967 e tra queste, una dozzina di tombe nella necropoli di Madonna del Carmine - la Casa del muro a telaio situata nella zona alta a nord ovest. Quest’ultimo è un piccolo edificio a pianta quadrangolare e composto da due vani scavati in parte nella roccia.

Inoltre è stata scoperta un’area sacra e un ampio edificio pluricellulare (destinazione incerta). Nel 1976-82 sono stati trovati alcuni resti di una grande capanna ovale provvista all' interno di vari arredi. Un particolare è rappresentato da una piastra fittile quadripartita e, verosimilmente usata come focolare.

Dell’ultima fase (medievale) è stata trovata una costruzione rozza monocellulare. Nel 2008-2009 sono stati effettuati degli scavi in altri settori chiamati "Campo IV e V". Sono stati portati alla luce i resti di un edificio di età tardo-arcaica contenente reperti di interesse locale. A ridosso della cima è stata rinvenuta una poderosa costruzione a pianta rettangolare.

Gli ultimi studi hanno evidenziato il rapporto diretto tra il mondo indigeno e quello coloniale. La complessa storia di Monte Castellazzo è figlia di dominazioni varie che, nel corso del tempo, si sono stabilite in quelle zone.

Nel mezzo delle certezze (scavi) aleggiano leggende popolari. Si parla della presenza di un tesoro nascosto nel ventre della montagna.

Di Elima rimane l'intuito di Monsignor Di Giovanni e gli studiosi, con teorie personali, non riescono a decifrare l’esatta denominazione. Un territorio dove affiorano due ambienti abbandonati nel loro triste destino.
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