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Quel cancello nasconde una storia: ciò che resta della Palermo Liberty tra i palazzoni

Andate a guardare la meravigliosa curvatura del ferro battuto e chiedetevi: se il cancello è così, di quale bellezza siamo stati privati? Siamo di fronte il Giardino Inglese

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 27 dicembre 2018

Il cancello di villino Fassini a Palermo

"Comunque, non poche delle numerose architetture realizzate giungono a una sintesi stilistica intensa: e in particolare il Villino Florio all’Olivuzza e le ville Basile e Fassini, nel 1904; quest'ultima deplorevolmente distrutta non molti anni or sono".

È il 1988 quando a scrivere queste parole a proposito del Villino costruito da Ernesto Basile per il barone piemontese Alberto Fassini, nel suo best seller edito da Flaccovio "il Giglio, l’iris, le rosa" è Rossana Bossaglia, una delle più illustri studiose del fenomeno Liberty italiano, tra i pionieri artefici del rilancio del modernismo già alla fine degli anni Sessanta.

Appartenente insieme al mai realizzato villino Monroy e alla casa-studio Basile di via Siracusa (se non sai di che parliamo ecco qua), al ciclo delle ville Bianche dai fortissimi rimandi secessionisti viennesi fusi ad una rielaborata poetica di razionalità mediterranea, il Fassini diventa tra le centinaia di vittime litiche del sacco edilizio democristiano una delle icone più singolari unitamente a villa Lanza-Deliella con cui condivide oltre la paternità illustre, il medesimo barbaro destino di apparente oblio.
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Dico apparente proprio perché mai come in quest'ultimo anno, l'attenzione mediatica sul portato culturale e artistico della monumentale produzione di Ernesto Basile, sia mai stata così alta e testimoniata dalla recente adozione del documento #effettoBasile in 14 punti che erge l'architetto palermitano a nuova Icona Urbana della città di Palermo.

Esiste un legame molto forte tra queste due architetture saccheggiate.

Recentemente mi sono messo alla ricerca di tutti i capolavori del capoluogo costruiti dal maestro e scampati all’olocausto liberty, facendo con estremo stupore delle scoperte avvincenti e felici.

Se per la villa di piazza Croci il dibattito mai spento da quando nè proponemmo già nel 2015 la ricostruzione (ecco qui), si appresta a sviluppi reali in occasione del sessantesimo anniversario del 2019, per il villino prospiciente la via Duca della Verdura, la cui distruzione fu posteriore alla Deliella, la città non sente più nemmeno l'eco di quella bellezza di matrice sociale di cui erano tasselli organici tutti i villini modernisti costruiti tra le vie Libertà e Notarbartolo e dunque lo stesso Fassini!

Infatti, nel silenzio di chi avrebbe già dovuto valorizzare tracce e percorsi tematici, in quella stessa strada di fronte la pista di pattinaggio del giardino inglese, dove al posto del pregiato villino liberty insiste da circa mezzo secolo un condominio, esiste ancora per una sorta di schizofrenia tutta palermitana, parte della pregiatissima cancellata perimetrale originale misteriosamente risparmiata.

Sono meno di 10 metri lineari e contengono il cancello ancora funzionante malgrado i suoi 114 anni.

Qualcuno, lo so, potrebbe pure storcere il naso immaginando nostalgici tentativi da conservatore ma questi dieci metri di pietra e ferro battuto elegantemente assortiti nella volontà progettuale di essere atto cosciente di gesamtkustwerk, nel suo sopravvivere, raccontano di un mondo in cui la bellezza non era considerata un di più ma la sostanza stessa del progresso urbano che diveniva paesaggio floreale.

Il barone Fassini fu imprenditore tessile attivo anche nel campo della cinematografia, fu Ammiraglio durante la prima guerra mondiale e deputato fascista nel 1924.

Quando nel 1903 volle che fosse Basile a progettare la sua residenza suburbana, quella zona oggi satura di cemento armato, era una distesa di verde in cui far spiccare il bianco-serpotta dell’intonaco liscio dei prospetti radicati al piano di calpestio mediante un basamento di mattoni rossi e pietra lungo i cantonali.

Di questa struttura più volte emulata da altri, ciò che rimane oggi nel raffinato disegno di intrecci di ferro curvato ai terminali degli elementi verticali binati, rappresenta nella sua oggettiva testimonianza di documento stilistico, quella straordinaria visione compositiva del maestro e del suo intendere la progettualità integrale.

Essa ci pone davanti quella verità dell’intuizione Ruskiniana che vuole che le "pietre" sappiano parlare a chi le sappia ascoltare e ci consegnano davanti, una domanda a cui molti di noi possono solo lavorar di fantasia: "se la ringhiera perimetrale è così finemente realizzata, quale bellezza abbiamo perduto con la distruzione del villino che essa cingeva?".

Evitando ogni romantico cinismo, penso che questo frammento andrebbe valorizzato attraverso una targa ben studiata, una illuminazione puntuale ed un breve ma prezioso impianto tecnologico multimediale capace di raccontarne la storia straordinaria di un luogo incredibile.

Avrebbe maggior significato di tutte quelle targhe sparpagliate in città che ci ricordano che "qui ha dormito Garibaldi".
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