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Altrove sarebbe un museo Liberty: lo scempio di villino Ida Basile a Palermo

La casa-studio che Ernesto Basile costruì per se stesso e in onore della moglie, Ida NegrIni, aveva anche uno spazio per la città: oggi la Soprintendenza la tiene chiusa

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 16 novembre 2017

Villino Ida in via Enzo ed Elvira Sellerio a Palermo

Il 1903 è un anno magico per l'arte europea. Il giro di boa dell'Art Nouveau sancisce il primato di un gusto diffuso, armonizzato indipendentemente dal luogo, intorno alla linea curva e sinuosa, floreale appunto.

È un dilagare continuo e di altissimo profilo artistico che segna il destino europeo della storia dell'arte ma non è sempre adeguatamente ben voluto né tanto meno ben compreso immediatamente.

Il quel 1903 ad esempio il più seduttivo degli artisti "bizantini" del Novecento, Gustav Klimt, esponendo insieme i due capolavori della medicina e della giurisprudenza, attira a se le polemiche relative alle nudità sinuose dipinte rischiando persino il boicottaggio.

Ma il 1903 è l'anno in cui a Palermo Ernesto Basile da vita al ciclo delle sue incredibili ville Bianche, il villino Fassini demolito durante gli anni del Sacco edilizio, il villino Monroy non realizzato, il villino Ida realizzato in via Siracusa (oggi via Enzo ed Elvira Sellerio) che diverrà la casa-studio del grande maestro Art Nouveau.
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L'eco cromatico è quello serpottiano, oggetto di studi e rilievi dello stesso Basile, il lotto è probabilmente concesso come parte del compenso per la progettazione del quartiere Expo del 1891, la matrice intellettuale che preesiste alla composizione dello spazio è quella mitteleuropea di gesamtkuntwerk (opera d'arte integrale), l'edificio porta il nome della moglie Ida Negrini ed è un omaggio galante di origine romantica nei confronti donna amata.

Un messaggio nella bottiglia affidato alle onde questo edificio emblematico, in linea strettissima con le coeve esperienze d'Europa centrale, Wagner, Hoffmann, Plecnic, Mackintosh, a tratti quasi proto-razionalista, una via d'uscita matura dalla produzione basiliana subito precedente, opera questa, interamente votata alla bellezza.

Tra il giugno e l'agosto di quel mitico 1903, l'intuizione della pianta definitiva e l'ovvia licenza edilizia a cui fa seguito la realizzazione. Ma a differenza dell'intera produzione precedente, ancor più della villa di famiglia a Santa Flavia, qui Basile incarna la lezione più importante dell'abitare in relazione ai bisogni primari.

«Ho immaginato la mia casa, pensando dapprima all'ordinamento interno - scriveva Basile - per le comodità dell'uso, poi alla costruzione, infine all'ornato».

È un testamento spirituale questo concentrato di genialità bianca come bianco è il colore primario dell'abitato mediterraneo. Un coacervo di invenzioni stilistiche raffinate come le paraste verticali liberty a scomparsa che declinando poco rispetto ai fronti dei due prospetti urbani, generano ombre lievi e puntuali, la consacrazione della soluzione del balcone angolare, mutuata dallo studio della storia palaziale e che sarà ripresa dai suoi moltissimi allievi come vero e proprio marchio di fabbrica, l'uso commisto di pietra locale e mattoni rossi per il basamento che cinge l'edificio radicandolo allo spazio pubblico, l'uso puntuale e atteso del ferro battuto laddove pare stia inciso da sempre.

E ancora i capitelli floreali a coronamento delle sporgenze angolari, la decorazione minimale affidata agli inserti maiolicati, al bugnato d'angolo, alle cornici delle finestre ed infine quel capolavoro assoluto che è il portale d'accesso al giardino ormai estinto e alla casa stessa vera e propria dove a fronte degli arredi perduti, insiste ne solco stilistico dell'opera d'arte integrale, l'opera decorativa di Salvatore Gregorietti.

Non sembri Villa Ida, una conquista culturale assodata. Rischiò la demolizione per gli appetiti dei carrettieri imporovvisati costruttori, durante il sacco Cianciminiano.

Solo la vendita da parte degli eredi Basile alla Regione Sicilia ha permesso che questo libro di pietra liberty, potesse arrivare visibile ai nostri occhi stupiti.

In un Paese normale la casa studio di un maestro Art Nouveau, sarebbe il luogo di pellegrinaggio di turisti e studiosi arrivati da mezzo mondo. A Palermo è una delle sedi della Soprindentenza ai Beni Culturali che, al netto di poche stanze aperte - non sempre - durante la manifestazione "Le vie dei Tesori", tiene le sue porte sbarrate.

Ciò purtroppo non è ancora avvenuto ma ci auguriamo tutti che la nuova compagine politica, sappia cogliere il potenziale esistente in questo scrigno culturale e si attivi in direzione di una reale valorizzazione aprendo l'edificio al ruolo museale e culturale che compete ad uno degli edifici simboli del gusto europeo della belle epoqué, periodo di una Palermo Felice in cui il nome della città floreale era metafora di rinascita sotto l'egida della bellezza!

Scriverà Basile sul portale floreale d'accesso "DISPAR ET UNUM" e in questa suggestione c'è proprio tutto. C'è persino il rimando inciso un paio d'anni prima nel palazzo viennese della Secession, all'interno del quale impera il fregio a Beethoven di Gustav Klimt!

Riprendiamo allora in mano le nostre recenti radici culturali valorizzando questo importante scrigno d'arte integrale. Buona gesamtkunstwerk a tutti noi.
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