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Quel filosofo "cavalcato" da una fanciulla: quale tesoro trovi sul soffitto dello Steri

Una leggenda che viene raffigurata nella Sala dei Baroni dello storico palazzo di Palermo, sul soffitto ligneo dipinto tra i più grandi al mondo. Ve la raccontiamo

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 5 marzo 2024

La scena in cui Filide cavalca Aristotele sul soffitto dello Steri

Nella Sala Magna o Magna Sala dei Baroni di Palazzo Steri a Palermo si può ammirare un magnifico e prezioso "tesoro" trecentesco: secondo numerosi studiosi si tratterebbe del soffitto ligneo dipinto più grande al mondo, un’opera eccezionale, che conta ben 600 pannelli e che è stato smontato e restaurato di recente, per rimediare ai danneggiamenti delle termiti e ai sollevamenti e ai distacchi della pittura: i lavori si sono conclusi nel Dicembre 2019.

Palazzo Steri è un massiccio complesso monumentale, edificato nel XIV secolo come casa magnatizia della famiglia Chiaromonte: una dimora di grande fascino e ricchezza, abbellito un tempo con giardini, alberi di arancio e fontane.

Furono necessari quasi 80 anni, per costruire questo edificio fortificato – Hosterium Magnum, da qui Steri – in una zona all’epoca paludosa, nel quartiere della Kalsa.

I Chiaramonte (nome forse riconducibile a quello dei Clermont di Francia, con i quali condividevano lo stemma), furono uno dei casati più potenti della nobiltà della Sicilia Medievale e insieme ai Ventimiglia conti di Geraci, agli Alagona conti di Agosta e ai Peralta conti di Caltabellotta, dopo la Pace di Caltabellotta (1302) si erano divisi politicamente e territorialmente l'intera isola.
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Nel 1392 con la decapitazione del ribelle Andrea Chiaramonte, proprio davanti allo Steri in Piazza Marina, su ordine del re Martino il Giovane, si estingueva il casato dei Chiaramonte e con la confisca di tutti i beni, il sovrano eleggeva il palazzo a dimora reale.

Dal 1468 al 1517 lo Steri fu residenza dei viceré di Sicilia; dal 1600 vi s'insedio il tribunale della Santa Inquisizione (con uffici, tribunali, celle, carceri e sale di torture) abolito solo nel 1782 dal Domenico Caracciolo. Dal 1800 al 1958 il palazzo ospitò nei piani superiori gli Uffici Giudiziari e al pianoterra gli uffici della Regia Dogana. Restaurato negli anni cinquanta del secolo scorso, oggi è la sede del Rettorato dell'Università di Palermo.

La Sala Magna o La Magna Sala dei Baroni, risplende dei dipinti del soffitto ligneo eseguiti con precisione di dettaglio, alla maniera medievale, per le nozze di Manfredi III ed Eufemia Ventimiglia, fra il 1377 e il 1380, dai pittori Cecco di Naro, Simone da Corleone e Pellegrino De Arena da Palermo.

Le immagini che ricoprono le travi mostrano l’influenza della cultura cortese-cavalleresca di matrice francese, volta all’esaltazione del nobile Manfredi e messa in relazione con l’ideologia politica dei Chiaramonte, che militavano nella fazione filo-angioina.

L’apparato decorativo riunisce un numero straordinario di temi biblici e cavallereschi, moralistici e didascalici, e si sviluppa attraverso 50 storie, quasi sempre racconti amorosi, molto diffusi nella Sicilia del Trecento.

Tristano e Isotta, Susanna e i Vecchioni, Giuditta e Oloferne, Giasone e Medea, Davide e Betsabea, Circe, San Giovanni Battista e Salomè, la fanciulla e l’unicorno, Didone ed Enea… Incuriosisce il visitatore l’immagine di un vecchio saggio dalla lunga barba bianca, che porta sulla schiena una fanciulla molto sensuale, senza sandali, con indosso una lunga veste leggera e attillata.

Dall'alto di un palazzo turrito due uomini li osservano e uno dei due, con la corona in testa, punta il dito e sorride, sbeffeggiando la scena.

Si tratta di una nota leggenda medievale, molto diffusa sin dal XIII secolo, quella del filosofo greco Aristotele, costretto a camminare a quattro zampe, cavalcato da una fanciulla di nome Fillide. I testi occidentali si richiamano a precedenti racconti orientali e narrano che il condottiero Alessandro Magno, dopo la conquista dell'India, innamoratosi di una bellissima fanciulla di nome Fillide, si era fermato a lungo in Oriente.

Il filosofo greco Aristotele, precettore del sovrano, aveva allora richiamato Alessandro, troppo preso dall’amore, ai suoi doveri di imperatore, imponendogli di troncare la relazione.

Il giovane sovrano per un breve periodo aveva vissuto lontano dall’amata, ma poi vinto dalla passione era ritornato da lei. Fillide allora aveva meditato, in accordo con Alessandro, una feroce vendetta nei confronti del vecchio maestro. Vestita solo di una leggera tunica, che metteva in risalto le sue belle forme, si era messa a passeggiare a piedi nudi nel giardino, intonando alcune canzoni d’amore, sapendo che Aristotele poteva vederla dalla finestra.

Sensibile al canto, il filosofo era caduto ben presto nella rete di seduzione intessuta dalla fanciulla e, in preda a una passione incontrollabile, l’aveva raggiunta, l’aveva afferrata per la tunica e, pur di possederla aveva accettato di assoggettarsi a lei, di mettersi carponi, di farsi sellare e cavalcare: in qualche racconto orientale si aggiunge che Aristotele si era messo persino a nitrire.

Alessandro lo aveva sorpreso così, mentre perso il lume della ragione si umiliava ai piedi di una donna e stava a quattro zampe in giardino. Il filosofo si era difeso prontamente sottolineando il valore esemplare del suo gesto: se l’Amore era riuscito a piegare un vecchio uomo di scienza, chissà come avrebbe potuto ridurre un uomo giovane e potente!

“Se non sono riuscito io a evitare la follia, tantomeno ci riuscireste voi!”, avrebbe affermato Aristotele, quasi in sua discolpa. Alessandro si era messo a ridere e lo aveva perdonato.

La leggenda in Occidente assunse da subito un doppio significato: da un lato il predicatore teologo nei suoi Sermones derideva Aristotele il sapiente, che non aveva saputo resistere alla seduzione dei sensi, affermava l'inutilità della filosofia (considerata inferiore alla religione) e richiamava i fedeli alla castità, sottolineando la vanità delle cose del mondo; dall’altro lato Fillide ribadiva il primato dell’Amore, a cui era impossibile resistere, persino all’uomo di scienze.

Il primo filone si può ricondurre agli exempla moralia che i predicatori domenicani inserivano nei loro sermoni, il secondo confluisce nel tema della potenza dell'amore, tipico della letteratura cavallaresca-cortese. Del resto il nome Fillide ha nella sua radice la parola greca ϕιλία (filìa), amore.

La scenetta di Aristotele "cavalcato", caricatura del Filosofo per antonomasia, il più studiato e citato nel medioevo, sorpreso a contravvenire nel modo più clamorosamente grottesco e umiliante ai suoi stessi precetti, compare spesso oltre che sul soffitto dello Steri in tutta Europa, scolpita sulle facciate delle chiese o sui capitelli dei chiostri, negli stalli lignei dei cori, su reliquiari e su acquasantiere, oppure dipinta sui soffitti, su selle e arazzi, su carte da gioco, nelle illustrazioni dei Trionfi.

La fortuna di questa leggenda arriverà fino all'Ottocento: verrà "citata" addirittura in una foto iconica del 1882 che ritrae Lou Andreas-Salomé con frusta e collare in pugno, su di un carro a cui sono aggiogati il letterato Paul Rée e il filosofo Friedrich Nietzsche: un filosofo che per importanza e fama sembra proprio l’equivalente di Aristotele nella filosofia moderna.
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