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Quel tesoro estratto dalle Cave di Cusa: una "miniera d'oro" a due passi da Selinunte

Le Cave di Cusa rappresentano il luogo ideale dove iniziare un percorso archeologico e comprendere al meglio la grandezza della vicina Selinunte

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 20 agosto 2022

Le Cave di Cusa (Selinunte)

Dietro alle grandi opere c’è sempre un progetto valido e organizzato. Tutto è radicato a un perfetto idillio tra varie componenti e, senza una sinergia dalle perfette coordinate sarebbe quasi impossibile creare una struttura dalle proporzioni importanti.

Le Cave di Cusa rappresentano il luogo ideale dove iniziare un percorso archeologico e comprendere al meglio la grandezza della vicina Selinunte.

A circa 13 km di distanza dal parco, le cave si isolano dal resto del territorio e quantificano un duro lavoro di approfondimento e studi sulla realizzazione dei templi e l’importanza rivestita dal 600 a.C. al 409 a.C. prima dell’avvenuta distruzione di Selinunte ad opera dei Cartaginesi.

Trattasi di un luogo famoso e chiamato ramuxara dagli arabi seppur sia comunemente conosciuto come Cave di Cusa, con riferimento diretto al vecchio proprietario del terreno. Si trova all’interno dell'ex feudo della Campana, appartenuto per diversi secoli alla città di Castelvetrano e ceduto solamente negli anni Cinquanta del secolo scorso.
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Entrando all’interno dell’area, la mente vaga nel passato lasciandola sospesa tra storia e archeologia in un connubio fatto di dimensioni, tipologie e forme strutturali che meritano un’attenta analisi e al contempo, evidenziare le differenze con le altre cave localizzate nel territorio (Latomie, Manuzza e Misilbesi).

Di tutte le cave, il materiale migliore proveniva proprio da quelle di Cusa, essendo una calcarenite omogenea a grana media e di grande compattezza. Per tale caratteristica fu la colonna portante dei templi G,C e F con un’estrazione di circa 150.000 metri cubi di materiale.

Spesso la visita si sofferma alla parte iniziale e pochi, decidono d’inoltrarsi nella zona centrale e finale per un percorso pari a 1,7 km. Tolto il lato conclusivo, la continuità del tracciato esalta il luogo nel suo complesso.

La sostanza pietrosa venne estratta specialmente dalla parete settentrionale ormai visibilmente esaurita. Gli studi hanno valutato la divisione delle pareti in quattro settori partendo da est e procedendo verso ovest. Il primo settore era esaurito sin dall’epoca antica.

Il secondo, aveva una situazione alquanto particolare poichè alcuni rocchi (9) erano ancora in lavorazione. È il settore (situato tra le due collinette) che ha conservato meglio alcune caratteristiche e dato la possibilità sin dal XVI secolo di reperire maggiori informazioni.

Si ricavavano i rocchi di colonne. Durante una spedizione archeologica vennero trovati tre rocchi che permettevano di seguire le diverse fasi di estrazione: dalla pulitura alla levigatura della superficie rocciosa e successivamente, s’incideva il contorno dei tamburi dai diametri prestabiliti.

Dopo questa preparazione, attorno all’intaglio del contorno del rocchio si scavava, via via più profondo, un canale circolare di circa 40-65 cm. Attorno al perimetro del rocchio si scavava un primo canale stretto e poi, un secondo altrettanto stretto. Il cordolo rimasto in sito tra i due canali veniva eliminato.

Il procedimento continuava fino a raggiungere le altezze del pezzo volute e cercate. Proseguendo il sentiero che porta verso ovest si raggiunge il terzo settore (ormai esaurito). Infine, è presente il quarto e ultimo settore, sul banco roccioso e lungo lo spigolo della parete sud. Proprio in quest’ultimo si svolgeva un intenso lavoro diviso in tre punti. Era la zona occupata dagli spaccapietre per liberare il rocchio.

La particolarità era un’altra, ossia una suddivisione in piccoli pezzi rettangolari ancora non avvenuti e quindi, pronti a tracciare i solchi. Sono stati rinvenuti anche due capitelli dorici. Una volta avvenuta l’estrazione, si dovevano rovesciare i rocchi e allontanarli.

Per quanto riguardava il trasporto, al centro delle due superfici di appoggio si scavava un foro quadrato per il montaggio di due ruote e un telaio in legno. Venivano impiegati gli animali da traino in numero adeguato al peso dei pezzi. Secondo Vitruvio, questo sistema ben definito e organizzato è da attribuire all’invenzione degli architetti dell’Artemision arcaico di Efeso, Chersiphron e Metaganes.

Le dimensioni ampie dei rocchi presumevano i trasporti in strade larghe, fonte testimoniate da parte di molti viaggiatori. Fino ai primi del XX secolo la strada fu in buone condizioni e successivamente venne distrutta e adibita a ricomposizioni fondiarie. Sono tanti i punti di domanda legati alle Cave di Cusa di cui attualmente non si conoscono i dettagli.

L’organizzazione delle stesse e l’appartenenza rimangono incerte seppur Tucidide tramanda la possibilità fossero di proprietà dell'Amministrazione del tempio. Una via percorribile è stata quello che l’accomuna con gli studi e scavi effettuati in Asia Minore e precisamente a Mileto.

Sono le uniche cave in cui è possibile reperire caratteristiche simili alle nostre. Ogni angolo esprime un concetto e l’attenta visita riesce a delineare un quadro generale dell’intera zona.

Alcune immagini lasciano basito il visitatore perché il luogo è stato abbandonato nella fase produttiva dei rocchi. Come se, Selinunte non avesse minimamente calcolato la possibilità di subire un attacco nemico.

Invece… la storia ha emesso un altro verdetto.
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