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Se dici "Brrr!" pensi a Leo BuenaSorte: chi è il pizzaiolo che da Palermo è volato a Londra

"Mi serviva un nome d’arte che mi portasse fortuna e cosa è meglio di BuenaSorte?”. Pizzaiolo e musicista, è cresciuto con i nonni in periferia. La storia

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 28 agosto 2023

Leo BuenaSorte, al secolo Gianpiero Vitale

"Radici e ali. Ma che ali mettano radici e le radici mettano ali".

Anche se è una frase del poeta spagnolo Juan Ramón Jiménez, questa è un pò la storia di Leo BuenaSorte, il pizzaiolo di Borgonuovo che vive a Londra e che con il suo slang panormita ci racconta gioie e dolori di un italiano all’estero.

Cinico, a tratti spietato, ma dotato di un’ironia irriverente e mai banale, mi racconta di aver imparato a fare le pizze per "tirare a campare" perché dice "chi sa fare le pizze un posto lo trova sempre".

Un pò è serio, un po' scherza (come al solito) perché nessuno più di lui conosce quell’odore di dignità inzuppata di sudore e farina.

E così, tra una cazziata a un cliente inglese perché vuole l’ananas sulla pizza e un'abbanniata a re Carlo III sotto Buckingham Palace al grido Caiillo, scinni ‘na buttigghia r’acqua ca sta muriannu ‘ra siti oppure Iecca puru quacchi cuasa i picciuli ca m’accattari u gelato, inscena delle gag comiche di primo sapore ma che al retrogusto lasciano sempre qualcosa su cui meditare.
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Attivo soprattutto su Instagram, molti di voi lo avranno visto imprecare contro il malotempo.

Proprio come il ragionier Ugo Fantozzi, infatti, anche Leo si porta sempre appresso la nuvola da impiegato che lo "assicuta" nei tratti casa-lavoro, lavoro-casa, ma soprattutto nel tempo libero, che gli fa da spalla nei suoi sketch, ma che lascia anche trasparire quel pizzico di nostalgia verso quell’isola chiamata Sicilia dove Pirandello diceva: "L’uomo nasce isola nell’isola, rimanendo tale fino alla morte".

Ma partiamoci dall’inizio! Se io, cercando di raccontarlo, dicessi a Leo che è nato un giorno prima che il democratico candidato alla Casa Bianca Gary fosse compromesso da uno scandalo per la love story con Donna Rice, molto probabilmente mi direbbe: "Frate, cancia spacciaturiBrrr!”.

Possibilmente gli farebbe più piacere sapere che è nato 11 giorni prima del debutto della famosa serie "I Simpson" di Matt Groening e a una settimana dal primo storico scudetto del Napoli di Maradona.

È il 1987 per intenderci, e nel mese di maggio arriva a questo mondo Gianpiero Vitale (questo è il suo vero nome), un picciotto di borgata come tanti. Ai tempi non tiene ancora capelli lunghi, barba né nome d’arte, eppure non lo sa ma Londra è scritta già nel suo libro del destino, sin dai tempi che tira calci ad un pallone tra le macchine posteggiate e comincia ad innamorarsi della musica.

Eh già, Borgo Nuovo infatti, chiamata tecnicamente UR (guarda caso come una delle più antiche e mitologiche città citate nell’Antico Testamento), è una di quelle città dentro la città che ad oggi conta circa 120.000 abitanti. La bandiera non ce l’ha Borgonuovo, ma chi c’è nato l’ha ben presente se la porta fieramente sottopelle ovunque vada proprio come Leo.

Il quartiere viene infatti progettato e costruito tra il 1957 e il 1983 nell’area ovest di Palermo ispirandosi nientepopodimeno al progetto delle “new town” inglesi, ideate ad hoc per gestire la preoccupante crescita demografica di Londra nel dopoguerra.

Non è mai stato e non è un quartiere facile, e appena glielo ricordo Leo mi risponde con una citazione dello scrittore romano Matteo Nucci: "sono difficili le cose belle…".

Sì, appena ci mettiamo d’accordo per l’intervista viene subito a galla quello che già sospettavo: Gianpiero ama leggere, adora la musica e l’arte dello spettacolo, tanto che da ragazzino frequenta per tre anni il conservatorio di Palermo, anche se poi la sua strada lo porta da un'altra parte.

È strano, mentre gli parlo gli chiedo in altri termini se ci fa o ci è, ma ancora una volta mi rispondo da solo perché ascoltando la sua storia mi rendo conto che Leo è una maschera che nasconde Gianpiero e Gianpiero la maschera che nasconde Leo.

D'altronde non potrebbe essere diversamente perché non ha compiuto nemmeno un anno di età che deve sin da subito fare a meno del padre, deciso semplicemente a prendere un’altra via, lasciandolo tra le braccia di una giovanissima mamma. “Dont Worry,” avrebbe detto Leo a sua mamma se avesse saputo già parlare già in inglese, “ci su i me nanni!”.

Ed è proprio con i nonni che Leo cresce imparando ad essere figlio mentre sua mamma impara ad essere mamma. Già, se i figli so’ piezz e core, quei nonni per Leo sono ancor di più.

«Mio nonno era un ambulante che vendeva il pesce, mi ha cresciuto come un figlio e mi ha lasciato la libertà di dedicarmi alle mie passioni, compresa la musica». Proprio in uno dei suoi pezzi, "U lapinu" -perché il musicista Leo continua a farlo sopra ogni altra cosa- canta: "me nonno c’ha campatu na famigghia cu lapinu, ‘mianzu a strata già ri quattru ru matinu… u friddu e l’acqua ca trasievanu ru finestrino".

Lo fermo a metà del racconto, non per male ma perché proprio non capisco quel “Leo Buenasorte”. Accenna un sorriso: “picchì appi sempre i capiddi comu un liuni. Poi ai tempi che facevo animazione mi serviva un nome d’arte che mi portasse fortuna… allora, cosa meglio di BuenaSorte?”.

E se di nonno ne parla con fierezza, di nonna non se ne parla proprio perché quasi gli si condensa una lacrima. Quella distanza che lo separa da casa non è propriamente una fesseria, perché pe rdirla alla Vasco Rossi "restare soli fa male anche ai duri".

E Leo quell’amore amaro per Palermo che lo ha costretto a staccarsi dalle sue radici lo canta quasi con rabbia nella sua Estate a Palermo: "E so che dobbiamo stare così lontani, per amarci dobbiamo stare lontani".

Ci riprovo l’ultima volta a prendere il discorso di nonna ma mi taglia da fuori classe: «una volta un testimone di Geova mi chiese "Ma che cos’è per te la fine del mondo?".

"A fine ru munnu pi mia è a paista cu fuinnu i me nonna". Sono passate due ore da quando abbiamo iniziato a parlare ed è già notte inoltrata. Lo saluto. «Ciao Leo, è stato davvero un piacere…» lo penso veramente. «Ciao frate, anche per me. Brrr!»
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