Sicilia scuola di Top Gun, cambia la strategia Usa: quanto "pesano" Muos e Sigonella
Piloti degli F-35 saranno addestrati nell'Isola, primo posto fuori dagli Stati Uniti. La prof di Unipa Carla Monteleone: "La vera priorità di Trump è contenere la Cina"

F-35, i piloti saranno addestrati in Sicilia
Lo ha annunciato nei giorni scorsi il ministro della Difesa Guido Crosetto: la Sicilia sarà il primo posto al mondo al di fuori degli Stati Uniti in cui verranno addestrati i piloti degli F-35. Una notizia destinata a far discutere un’opinione pubblica sempre più polarizzata in merito al coinvolgimento dell’Isola nelle operazioni militari a stelle e strisce.
L’evento rappresenta un salto di qualità nella funzione di supporto logistico svolta dalla Sicilia nello scacchiere mediterraneo? Secondo Carla Monteleone, docente di Scienza Politica e Relazioni Internazionali presso l’Università di Palermo, quanto accaduto non è sorprendente.
«No, io non credo che la scelta di addestrare in Sicilia i piloti degli F-35 conferisca una nuova dimensione strategica all’isola. La decisione si inserisce in continuità con gli impegni già assunti dallo Stato italiano».
E rispetto alle ricadute economiche cui ha fatto riferimento il ministro? «In effetti, questo è un cambiamento di mentalità che il governo sta cercando di portare avanti: guardare alla difesa come a un settore capace di contribuire significativamente al Pil».
E spiega: «Se vogliamo si può considerare una transizione verso una mentalità più di tipo americano che di tipo europeo. La cultura strategica statunitense ha storicamente guardato alla difesa anche come opportunità economica, a differenza di quanto accaduto nel nostro continente».
Quindi la Sicilia resta la punta di diamante della proiezione statunitense nel Mare Nostrum? «Certamente la posizione geografica continua ad essere rilevante e l'instabilità che in questo momento è presente in Medio Oriente e in buona parte del Nord Africa dovrebbe attribuirgli un peso specifico ancor più significativo».
C'è però una novità, come fa notare la docente: «Noto un altro elemento, emerso anche all'ultimo vertice Nato, in cui si è sostanzialmente confermata la scomparsa di interesse verso il fianco sud dell’Alleanza Atlantica, a dispetto dei tentativi dei governi italiani di mantenere viva l’attenzione verso il Mediterraneo nel corso degli anni».
Sigonella e il Muos rischiano di contare molto poco? «Continueranno a mantenere un ruolo di rilievo al bisogno, ma è evidente che ad oggi gli Usa siano concentrati su altri fronti».
È la Cina il bersaglio principale? «Com’è noto - spiega Carla Monteleone -, il primo obiettivo degli Stati Uniti è il contenimento della Cina nell'Indo-Pacifico, regione cui riservano la massima attenzione. Ciò comporta una perdita di priorità del fronte sud della Nato agli occhi di Washington».
Ne consegue, come spiega la prof, la richiesta agli europei di difendersi da soli e per gli Stati rivieraschi di vigilare sul Mediterraneo. «Per lo Stato italiano ciò si è tradotto nella necessità di occuparsi di eventuali problemi dell’estero vicino».
Per esempio? «Ad oggi - aggiunge la docente - c’è grande attenzione nei confronti di alcune aree africane, in particolar modo subsahariane, e un crescente investimento nello sviluppo di capacità di proiezione. Per esempio, l'Italia sta acquistando 25 nuovi F-35, aerei di quinta generazione, ma si sta molto impegnando anche per un programma di costruzione di velivoli di sesta generazione insieme a Gran Bretagna e Giappone».
La distrazione dell’egemone globale rischia di innescare un aumento della competizione tra i soggetti che si affacciano sul Mediterraneo, anche tra quelli appartenenti all’alleanza atlantica? «Sicuramente esiste un certo grado di competizione, ma in questi anni è emersa anche la capacità di cooperare agendo in sinergia, in particolar modo tra gli stati appartenenti all’Unione Europea», spiega Monteleone.
«Ciò non toglie che Stati diversi abbiano interessi non sempre coincidenti nel Mediterraneo, soprattutto rispetto all’Africa subsahariana, ma l’essere inseriti dentro la cornice dell’UE permette di sviluppare un dialogo per risolvere i contenziosi attraverso l’uso di strumenti politici».
L’evento rappresenta un salto di qualità nella funzione di supporto logistico svolta dalla Sicilia nello scacchiere mediterraneo? Secondo Carla Monteleone, docente di Scienza Politica e Relazioni Internazionali presso l’Università di Palermo, quanto accaduto non è sorprendente.
«No, io non credo che la scelta di addestrare in Sicilia i piloti degli F-35 conferisca una nuova dimensione strategica all’isola. La decisione si inserisce in continuità con gli impegni già assunti dallo Stato italiano».
E rispetto alle ricadute economiche cui ha fatto riferimento il ministro? «In effetti, questo è un cambiamento di mentalità che il governo sta cercando di portare avanti: guardare alla difesa come a un settore capace di contribuire significativamente al Pil».
E spiega: «Se vogliamo si può considerare una transizione verso una mentalità più di tipo americano che di tipo europeo. La cultura strategica statunitense ha storicamente guardato alla difesa anche come opportunità economica, a differenza di quanto accaduto nel nostro continente».
Quindi la Sicilia resta la punta di diamante della proiezione statunitense nel Mare Nostrum? «Certamente la posizione geografica continua ad essere rilevante e l'instabilità che in questo momento è presente in Medio Oriente e in buona parte del Nord Africa dovrebbe attribuirgli un peso specifico ancor più significativo».
C'è però una novità, come fa notare la docente: «Noto un altro elemento, emerso anche all'ultimo vertice Nato, in cui si è sostanzialmente confermata la scomparsa di interesse verso il fianco sud dell’Alleanza Atlantica, a dispetto dei tentativi dei governi italiani di mantenere viva l’attenzione verso il Mediterraneo nel corso degli anni».
Sigonella e il Muos rischiano di contare molto poco? «Continueranno a mantenere un ruolo di rilievo al bisogno, ma è evidente che ad oggi gli Usa siano concentrati su altri fronti».
È la Cina il bersaglio principale? «Com’è noto - spiega Carla Monteleone -, il primo obiettivo degli Stati Uniti è il contenimento della Cina nell'Indo-Pacifico, regione cui riservano la massima attenzione. Ciò comporta una perdita di priorità del fronte sud della Nato agli occhi di Washington».
Ne consegue, come spiega la prof, la richiesta agli europei di difendersi da soli e per gli Stati rivieraschi di vigilare sul Mediterraneo. «Per lo Stato italiano ciò si è tradotto nella necessità di occuparsi di eventuali problemi dell’estero vicino».
Per esempio? «Ad oggi - aggiunge la docente - c’è grande attenzione nei confronti di alcune aree africane, in particolar modo subsahariane, e un crescente investimento nello sviluppo di capacità di proiezione. Per esempio, l'Italia sta acquistando 25 nuovi F-35, aerei di quinta generazione, ma si sta molto impegnando anche per un programma di costruzione di velivoli di sesta generazione insieme a Gran Bretagna e Giappone».
La distrazione dell’egemone globale rischia di innescare un aumento della competizione tra i soggetti che si affacciano sul Mediterraneo, anche tra quelli appartenenti all’alleanza atlantica? «Sicuramente esiste un certo grado di competizione, ma in questi anni è emersa anche la capacità di cooperare agendo in sinergia, in particolar modo tra gli stati appartenenti all’Unione Europea», spiega Monteleone.
«Ciò non toglie che Stati diversi abbiano interessi non sempre coincidenti nel Mediterraneo, soprattutto rispetto all’Africa subsahariana, ma l’essere inseriti dentro la cornice dell’UE permette di sviluppare un dialogo per risolvere i contenziosi attraverso l’uso di strumenti politici».
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