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Simile a Mozia ma alle porte di Palermo: è un'area archeologica dal panorama pazzesco

Per i Fenici è stata una delle tre città principali dell'Isola grazie al suo promontorio. Oggi è uno dei siti archeologici più straordinari (ma meno conosciuti) della Sicilia

Salvatore Di Chiara
Ragioniere e appassionato di storia
  • 21 maggio 2023

Il sito archeologico di Solunto (foto tratta da Isola dei Ciclopi / Facebook)

Qual è la caratteristica che accomuna la città di Palermo, l’isola di Mozia (Mothia) e il sito archeologico di Solunto? Rappresentano i tre maggiori centri di dominazione fenicia della Sicilia. A pochi chilometri da Palermo, in uscita verso Bagheria e proseguendo per Santa Flavia, il territorio palermitano nasconde uno dei maggiori siti archeologici siciliani.

Una salita gradevole conduce verso il Monte Catalfano. Ogni sporgenza regala un’immagine che ruota a 360°. Il Golfo di Palermo è stato appena superato e dalla vetta del monte, sul lato opposto, Capo Zafferano, il pianoro di San Cristoforo e il promontorio di Solanto rappresentano le suggestioni paesaggistiche del sito.

Secondo lo storico Tucidide, furono i Fenici a colonizzare il territorio perché prediligevano i promontori e le isolette. La loro affermazione a Solunto avvenne sin dalla prima colonizzazione greca. La città fu conquistata da Dioniso I re di Siracusa durante la guerra contro i Cartaginesi e, con molta probabilità, il centro fu saccheggiato e distrutto.
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Successivamente la città venne ricostruita interamente sull’altura dove si insediarono un gruppo di mercenari greci. Solunto passò sotto il dominio romano nel 254 a.C. durante la Prima Guerra punica. La stessa (Solunto) entrò a far parte delle civitates decumanae. Dai rinvenimenti scoperti, si presume che il sito sia stato abbandonato a partire dal I sec. d.C.

La superficie era originariamente di circa 18 ettari. Ha una suddivisione regolare secondo gli impianti urbanistici di Ippodamo da Mileto - con una serie di strade orientate da nord-est e sud-ovest intersecate da assi minori perpendicolari di cui risultano isolati rettangolari. La città è costituita da un’arteria principale che conduceva verso la zona pubblica (con pavimentazione in mattoni quadrati dal terzo isolato).

Dalla via principale si aprono una serie di botteghe, mentre le case hanno ingresso nelle vie laterali. Queste ultime sono organizzate attorno a un cortile, spesso in peristilio (circondato da porticati), con colonnati a due piani. La disposizione delle abitazioni riflette gli ambienti sociali.

Infatti, nelle zone periferiche sono presenti strutture di modeste dimensioni e con semplici cortili. Nella zona centrale sono visibili le case con ricche decorazioni musive e pittoriche.

I primi scavi avvennero nel 1825 grazie alla Commissione di Antichità delle Belle Arti. Il primo ritrovamento fu una statua di Zeus (conservato presso il Museo Archeologico Regionale Salinas di Palermo).

Tra le maggiori attrazioni (rinvenute nelle successive spedizioni), senza dubbio, la Casa di Leda. È di ampie dimensioni e con pavimenti rivestiti in opus signinum (con cocci, sassi, pezzi di mattone e calce) e mosaico. Sono presenti anche le Case delle ghirlande, di Arpocrate e del mosaico circolare.

La zona delle attrezzature collettive è sistemata in un tratto pianeggiante del colle. Quest’area comprende l’agorà con annessa stoà, una grande cisterna, un teatro, un piccolo odeon e un gymnasium. La stoà è costituita da nove esedre a pianta rettangolare. Sono dotate di due colonne fra ante con semicolonne. Erano luoghi destinati al soggiorno e riposo.

La cisterna è rettangolare ed era pubblica. Il teatro si trova nel terrazzo superiore. Aveva un diametro di 45 m e ventuno ordini di gradini. È limitato da un muro di sostegno poligonale. Un piccolo edificio adeguato alle ridotte dimensioni della città e in grado di ospitare fino a milleduecento spettatori.

All'ingresso del sito è presente l’Antiquarium. Sono conservati parecchi oggetti del periodo punico (necropoli con sepoltura a camera, quartiere industriale con fornaci, sepoltura ipogea e un tofet) e greco.

Descrivere in poche righe l’intero sito è alquanto impossibile. Lo spirito di osservazione, la passione per l’archeologia e l’amore per la ricerca sono le componenti per ampliare la conoscenza di Solunto. I colori accesi del Tirreno, uniti alla vegetazione spontanea, giocano un ruolo fondamentale per toccare con mano un pezzo di storia siciliana.
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