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Storie di immigrazione (al contrario): chi è il medico "palermitano al 100% lombardo"

Lui (insieme ad altri) ha creato qui la più importante scuola di patologia del fegato italiana. La storia del professore Almasio, lombardo, che da 40 anni vive a Palermo

Balarm
La redazione
  • 8 giugno 2022

Pier Luigi Almasio

*Incontriamo il professore Pier Luigi Almasio al Policlinico. Un piccolo studio al piano terra. Uno spazio umile che scopriremo intriso di storia medica che riguarda la città di Palermo e non solo.

Il professore è il simbolo di una storia di immigrazione al contrario, in una città che ha perso negli ultimi cinque anni oltre 30.000 residenti, lui è arrivato a Palermo percorrendo la direzione inversa da Pavia circa quarant'anni fa.

Giovane ricercatore medico presso l’Università di Pavia, desideroso di nuove esperienze, anche in posizione scomoda, arriva a Palermo negli anni Ottanta, quando la città era tutt’altro che di moda. Conosce la Sicilia grazie alla moglie originaria di Licata, studentessa di medicina come lui, oggi responsabile di Neonatologia presso una importante clinica della città.

L’arrivo a Palermo è professionalmente battezzato dal professore Pagliaro dell’ospedale Cervello, che in quegli anni era uno dei riferimenti in Italia per le malattie epatiche. Prima di Palermo decide di spendere un anno a Londra per perfezionare l’inglese e formarsi sui rudimenti della clinica epatica presso il King’s College Hospital.
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La sfida di una vita parte qualche anno dopo quando approda al Policlinico.

Diventa in breve tempo una delle anime del reparto di Gastroenterologia. Il nucleo che ha dato vita questo ambizioso reparto, partito da zero e che oggi conta 18 posti letto, fu Antonio Craxi insieme proprio ad Almasio ed un piccolo gruppo di giovani promettenti ed entusiasti medici.

Il professore ci mostra con orgoglio i faldoni delle sperimentazioni cliniche che sono state il cuore dell’attività del centro. Non è noto al grande pubblico ma quasi tutti i farmaci oggi usati nella cura delle patologie epatiche in Italia sono stati sperimentati proprio a Palermo. Abbiamo scoperto in questi anni quanto la sperimentazione possa essere importante; l’istituto di Palermo ha svolto un importante ruolo cerniera tra le case farmaceutiche e gli enti preposti al controllo.

«Nelle fasi di sperimentazione di un farmaco – ci spiega il professore – un laboratorio potrebbe facilmente falsificare i dati in favore delle case farmaceutiche. Il nostro centro è stato un riferimento nazionale in questi anni proprio perché gli enti preposti (tra cui AIFA ed EMA) hanno riconosciuto la nostra affidabilità tecnica e mi permetto di aggiungere etica».

Il ritorno ad una medicina etica è uno dei punti che tiene a sottolineare insieme alla necessità di restituzione della centralità alla medicina delle evidenze, come nella vecchia scuola a cui si è formato. E che per fortuna trova eco oggi in molti allievi in giro anche per l’Italia. Tra questi cita Cartabellotta, recentemente agli onori della cronaca sulle questioni Covid.

Ancora più significativo è il ruolo strategico che il centro ha nel panorama internazionale. Spiccano esposte targhe e riconoscimenti da parte di moltissimi paesi mediterranei: Marocco, Libia, Giordania, Palestina.

Nel mostrare questi riconoscimenti ci spiega: «Palermo è in una posizione culturale strategica rispetto ad una vasta area del mondo. Il nostro istituto è una importante riferimento per il mondo medico, ma questo ruolo dovrebbe essere al centro di una progettualità generale della città. Il Mediterraneo guarda a noi e noi dobbiamo imparare a guardare verso il Mediterraneo».

Gli chiediamo perché un giovane entusiasta medico dovrebbe e potrebbe scegliere oggi di scommettere su Palermo. Sul fronte medico serve investire in tecnologie, ci spiega. La medicina è evoluta molto in questi anni e le tecnologie oggi possono attirare giovani medici che hanno voglia a loro volta di cimentarsi.

Ma più in generale a suo avviso la sfida di Palermo è nel sapersi promuovere, perché solo imparando a conoscere Palermo puoi amarla oltre i suoi difetti. La grande capacità di accoglienza e solidarietà che è insita nella città e della quale proprio lui ha avuto modo di fruire quando si è trasferito è un elemento sul quale la città dovrebbe imparare ad investire.

Con orgoglio ci dice della sua candidatura al consiglio comunale nella lista del Partito Democratico, a sostegno del candidato sindaco Franco Miceli. Questo è per lui misura del fatto che è parte della comunità cittadina. E che il suo essersi speso in questi anni è stato riconosciuto fino al punto di ricevere questa proposta.

Una proposta che adesso intende convertire in impegno diretto sul territorio in favore dei giovani e della loro formazione culturale. Se l’uomo è un prodotto culturale come è, allora noi siamo la cultura di cui riusciamo ad essere interpreti.

«Dopo quarant’anni di vita a Palermo possiamo dire quindi che adesso è un palermitano a tutti gli effetti?» - gli chiediamo prima di salutarlo.

«Non a tutti gli effetti - risponde con il suo serafico sorriso -. Come detto amo questa città. È la città dove ho vissuto più a lungo. È la mia città. Amo la grande capacità di accogliere del popolo siciliano, amo la cultura di cui è intriso un po’ tutto.

La cultura come ho detto è un po' l’anima dei popoli e sua vera ricchezza. Ma non riesco ad abituarmi, nonostante i tanti anni, e non intendo farlo, ad un certo lassismo.

Non mi abituo alla tolleranza di piccole e grandi illegalità ed imprecisioni. Vede noi, mi ci metto dentro pure io, prendiamo in giro i lombardi per la loro puntualità e per il loro rigido rispetto delle regole, eppure io credo che siano le regole a farci comunità.

Amo essere puntuale, non parcheggio sulle strisce pedonali e non butto carte a terra, è il solo modo che conosco per riconoscere che faccio parte di un gruppo e lo rispetto. Ne rispetto le regole. Quindi lo scriva pure, sono un palermitano al 100% lombardo».

*Contenuto sponsorizzato a fini politici (messaggio autogestito a pagamento)
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