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Tra i pirati più indomiti ci fu il turco Dragut: perché in Sicilia inventarono le Torri d'avviso

Perché fu necessario creare un sistema difensivo efficace? Ve lo spieghiamo come sempre raccontandovi aneddoti e storie che hanno accompagnato a lungo la Sicilia

Antonino Prestigiacomo
Appassionato di storia, arte e folklore di Palermo
  • 18 febbraio 2022

Torre del Rotolo (XV secolo) (foto A. Prestigiacomo)

«Hora dunque non havete voi osservato nella sommità d'ogni colle, un legno alto come un antena; nella cui cima sta una gabbia di grosse fila di Ferro? Affermando Poliarco: Ripigliò la donna, questi sono gli arbori pubblici, à quell'uso destinati, ch'io vi diceva, che al comando di S.M. ponendosi nella cima i fuochi, diano segno di cosa, che debba essere per lo popolo immediatamente esseguita. Et Angari chiamansi queste faci.

I primi a vederli, parimente subito allumano con eguale splendore le vette dei loro Monti & da questi sono avvertiti quelli che più lunge dimorano; fin tanto che la fiamma habbia con prestezza mirabile trascorsa l'Isola tutta. Sta intanto il popolo in arme, allestito all'obedienza, secondo che vien richiesto. E così senza indugio, và un messo di S.M.alla più vicina Città e pubblicamente ivi espone quanto quella vuol che sia fatto. Indi corrono gli habitatori sopra freschi cavalli, alle più propinque Castella, dalle quali con pari fedeltà, e prestezza, si fa con l'altre Città il medesimo. Di questa maniera con successive corrispondenze la Sicilia tutta ad un sol cenno del Principe (si può dire in un momento) si mette in arme».
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Forse mai nessuno ha poeticamente spiegato l'esistenza e il funzionamento delle Torri d'avviso di Sicilia meglio di Giovanni Barclaio, alias John Barclay, ne “L'Argenide”. Nella sua descrizione, infatti, si avverte il fermento causato da un pericolo imminente e la celerità dell'azione di difesa dell'intera isola di Sicilia, nonché l'efficacia di questo sistema inventato per l'appunto in Sicilia.

Perché fu necessario creare un sistema difensivo efficace? La Sicilia è una ninfea nel Mediterraneo, e però essendo un'isola è aperta al mare da tutti i lati, perciò facilmente vulnerabile. Le città storiche importanti come Palermo, Messina, Catania ecc., avevano una cinta muraria che le proteggeva da eventuali attacchi dei nemici, ma esistevano anche piccole comunità dislocate fuori le mura delle città che non avevano alcuna protezione.

Questi piccoli agglomerati necessitavano di una difesa, ma probabilmente il vero interesse del viceregno era proteggere i commerci marittimi, in quanto le navi spesso venivano attaccate e il carico rubato. Per questo motivo l'intero perimetro isolano venne fortificato con delle torri: costruzioni militari poste in punti strategici e dotati di un minimo di difesa armata e di almeno due uomini di guardia detti “Torrari”.

Questi ultimi avevano il compito di avvisare con diversi modi, qualora avvistassero “legni nemici”, le torri limitrofe. Di giorno facevano segnali di fumo, oppure suonavano la “brogna” o la “buccina”, cioè tipi di conchiglie, mentre la notte accendevano dei fuochi detti “fani”. A loro volta i torrari delle altre torri facevano altrettanto. Si creava così una “catena di Sant'Antonio” che finì per diventare l'antesignano del telegrafo.

Dopo la caduta dell'Impero Romano d'Oriente nel 1453 e la conquista di Costantinopoli da parte dell'Impero Ottomano, le acque del Mediterraneo iniziarono ad essere infestate dai pirati turchi, algerini e tunisini. L'Islam minacciava l'Occidente cattolico, si erano rinvertite le parti.

Vincenzo Auria, nella sua Historia cronologica delli signori viceré di Sicilia, ci riferisce che nell'anno 1554 «In alcuni manoscritti si legge che il viceré Gio: di Vega cominciò le torri per la marina di Sicilia», mentre secondo il Di Blasi nell'opera omonima si dà inizio alle costruzioni delle torri nel 1549. Uno tra i pirati più indomiti fu il turco Dragut, di lui si narrano tante storie e perfino il Re Filippo II, figlio e successore dell'Imperatore Carlo V, dovette prendere provvedimenti per arrestare le sue scorribande come si può leggere nelle Vite de' Re di Napoli: «Re Filippo intanto rivolse i suoi pensieri ad abbattere i corsari che infestavano il commercio del Mediterraneo, ed ai quali la Sicilia era più facilmente esposta. Armò quindi una flotta, e mandolla in Tripoli per scacciarne Dragut».

Oltre al viceré De Vega, un altro importante viceré che diede forte impulso alla costruzione e al restauro delle torri d'avviso di Sicilia fu Marco Antonio Colonna, il quale nel suo viceregno commissionò a validissimi ingegneri e architettti militari la perizia dell'isola di Sicilia per assicurarsi i punti strategici ove collocare nuove torri e soprattutto, quando ve ne fosse bisogno, restaurare quelle già esistenti. Fra tutti gli architetti vanno certo nominati Antonio Tomasello, Ferramolino da Bergamo, Tiburzio Spannocchi e Camillo Camilliani, a quest'ultimo tra l'altro gli fu commissionata la collocazione della Fontana Pretoria, della quale il padre (Francesco) era stato uno degli scultori.

Pippo Lo Cascio, nel suo libro Mondello tra torri e pirati, ci da notizia di diverse incursioni piratesche nel tratto di mare tra Partanna-Mondello e Sferracavallo: «Sbarco di corsari turchi a Mondello e lungo la costa del Monte Pellegrino, ricordato dalle cronache come “desembargo de turcos en monte Pellegrino y Mondello"» e ancora «Incursione barbaresca nel piano di Gallo e a Mondello e successiva cattura di alcuni pastori di Patti (Messina) tali Agostino e Filippo Calabria intenti a Pascolare un gregge di “crapi di Francesco Todaro di Palermo"» ecc.

Da alcune cronache possiamo leggere che perfino il poeta Antonio Veneziano fu catturato dai pirati e successivamente riscattato “coi denari del Comune di Palermo”.

Malasorte volle che ne uscì vivo dai pirati, ma non dallo scoppio della polveriera del Castello a mare di Palermo qualche anno dopo. Tra i bottini più cospiqui dei pirati, oltre ai beni di prima necessità, vi erano uomini, donne e bambini per chiederne riscatti oppure venderli come schiavi in “barberia”.

Normalmente le torri costiere erano di due tipi: a pianta quadra e a pianta tonda. Ma si potevano distinguere in base all'appartenenza come Torri di Deputazione, di Universitas e Appadronate. Le torri di Deputazione del Regno di Sicilia erano gestite da un organo politico-amministrativo del Regno di Sicilia (la Deputazione) formato da tre bracci: ecclesiastico, militare e demaniale. Le torri di Universitas erano gestite dai Comuni del Regno di Sicilia e le torri Appadronate erano quelle realizzate e gestite da privati. Per un elenco dettagliato delle torri di Sicilia rimando all'opuscolo del Marchese di Villabianca Torri di guardia dei litorali della Sicilia nell'edizione del 1986 curata da Salvo Di Matteo.

Se oggi percorriamo l'intero litorale della Sicilia per fortuna troviamo ancora molte torri in discreto stato di conservazione, altre, purtroppo, avrebbero bisogno di un buon restauro, specie perché durante la guerra furono usate come postazioni militari. Ma anche se ruderi, le vedi lì, svettanti sugli speroni rocciosi, assolate e solitarie di fronte al mare, ormai semplici stazioni per gabbiani, ammirano albe e tramonti e guardano fisso sempre l'orizzonte, chissà, magari per destarsi dal loro secolare torpore sperano di sentire da un momento all'altro la roboante eco di un antico colpo di cannone.

(Per approfondimenti sull'argomento consiglio la lettura di Torri di Guardia dei litorali della Sicilia dagli Opuscoli del Marchese di Villabianca, una collana curata da Salvo Di Matteo; L'opera di Camillo Camilliani di Marina Scarlata; Mondello tra torri e pirati di Pippo Lo Cascio; Le difese del Regno di Sicilia nel '500, le torri marittime della riviera trapanese di Antonino Palazzolo; Lascari e le sue torri, una storia ritrovata di S.Ilardo, S.Moncada, S. Schittino)
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