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Un Anfiteatro romano al centro di Catania: le favole dell'orrore del "Colosseo nero"

L’Anfiteatro Romano è un esempio di patrimonio archeologico pressoché unico, ma è anche uno dei luoghi più misteriosi e oscuri della città. Ecco la sua incredibile storia

  • 28 dicembre 2020

L'anfiteatro romano di Catania

Se a prima vista la denominazione “Catania vecchia” richiama una generica idea del centro storico, in verità per i catanesi questo nome ha un suo preciso riferimento a un luogo che non tutti i siciliani conoscono, anche tirando a memoria sulle bellezze numerose della città.

È l’Anfiteatro Romano, e anche se l’Etna non c’entra nulla, in realtà c’entra eccome nelle sorti di questo grandioso monumento anche conosciuto con l’assai più fascinoso appellativo di “Colosseo nero”.

Il derivativo non ha origini di scontrosa imitazione, in quanto, per il pregio della sua architettura e per la storia che lo presiede, l’Anfiteatro Romano di Catania ha buon diritto a una certa magniloquenza d’orgoglio.

Situato al centro della città, la data della sua costruzione è incerta, ma senza dubbio risale all’età imperiale, e alcuni studiosi la collocano intorno al II secolo d.C. Si suppone che fosse utilizzato per le famose “Neumachie”, battaglie navali fra i gladiatori, rese possibili tramite un sistema di acquedotti sotterraneo con il quale l’acqua fuoriusciva direttamente dal fiume Amenano che scorreva sotto il suolo della città.
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È certo che tra il 494 e il 526 d.C., cioè dall’epoca di Teodorico, il monumento si trovasse in condizioni precarie; abbandono e disuso, per cui gli stessi cittadini catanesi chiesero all’Imperatore di poterne utilizzare le pietre come materiali da costruzione. Con una circonferenza di circa 300 metri, fatto di pietra lavica e di marmi pregiatissimi, l’Anfiteatro è, in effetti, il più grande al mondo dopo il Colosseo.

Nel tempo, l’Etna implacabile giunse quasi a distruggerlo. Si narra difatti che una violenta eruzione - nel 252 d.C. – arrivò quasi a fagocitarlo, se non fosse stato per l’intervento del velo di Sant’Agata, che nei pressi del luogo aveva subito il suo martirio, che frenò la calata schiumosa della lava, nulla potendo nei secoli successivi in cui il nero magma letteralmente lo sommerse facendolo scomparire.

Fatto sta che per queste ragioni, ripetute e nefaste, tutta la zona nell’800 era interamente chiusa, e fu solo nel 1904 e per volontà del sindaco De Felice che ebbero inizio i lavori di scavo e di restituzione del bene, opera dell’architetto Filadelfo Fichera. Tra gli enigmi di questo luogo, che sono tanti e confusi nelle ambiguità delle credenze popolari, uno su tutti ha interessato la memoria sociale, in ragione – forse – della sua chiara impossibilità: è il mistero della scolaresca scomparsa.

L’evento leggendario non ha una datazione certa, ma pare che un’intera classe di scuola in visita al luogo non sia più ritornata dopo una visita alla fitta rete dei cunicoli sotterranei, inghiottita come per un malevole incanto. Si dice fossero in tutto venticinque alunni di una scuola elementare e quattro maestre, addentrati nella parte dell’Anfiteatro chiusa al pubblico, e, sebbene le ricerche siano state lunghe e dettagliate, nessuno più fece ritorno.

È impossibile che tutto ciò sia accaduto, e non soltanto per la gravità della scomparsa di un numero così elevato di persone; la stessa forma del luogo, un ovale perfetto, non ammette l’ipotesi di una scomparsa dedalea, neppure nei suoi anfratti più oscuri e riposti. Qualcuno ha sostenuto l’ipotesi che l’Anfiteatro sia collegato a un’altra area teatrale romana attraverso cunicoli ignoti e passaggi inesplorati, lunghi ipogei smagliati a tranello per l’uomo, ma nessuna indagine archeologica ha provato la fondatezza di questa suggestione.

Insomma, il mistero rimane, ma esso non riguarda la verosimiglianza del fatto, ché un’intera scolaresca sia scomparsa senza lasciar tracce, ma il motivo profondo che ha dato origine a questa curiosa leggenda: quale il dato di realtà possibile, quali i margini dell’invenzione romanzesca.

Alcuni “testimoni orali” raccontano che l’evento sia accaduto dopo la fine della prima guerra mondiale, e che effettivamente gli scolari si siano perduti ritrovando solo dope molte ore la via d’uscita; altri invece sostengono che vi siano dei cunicoli murati e oramai inaccessibili, e chissà cosa si nasconde lì dietro.

Un’origine della leggenda potrebbe risiedere nell’idea di una sorta di ammonimento pauroso impartito dai genitori ai figli in forma di racconto popolare, proprio per dissuaderli da ricognizioni e giochi in un luogo per sua natura pericoloso. Una favola dell’orrore, non diversa per i suoi scopi dalle antiche fiabe popolari, che utilizza gli incanti sibillini del sottosuolo per esorcizzare la paura stessa, come se il divieto prevenisse l’idea del male.

L’Anfiteatro Romano è un esempio di patrimonio archeologico pressoché unico, ma è anche uno dei luoghi più misteriosi e oscuri della città, confuso con i suoi conci di lava fredda nel buio delle notti catanesi, laddove ancora oggi qualcuno sostiene di avere udito le urla disperate dei bambini rimontare ossessive dalle viscere di “Catania Vecchia”.
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