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Un'intera leggenda ricamata a trapunto da una siciliana: la più antica tela è a Londra

L’arte del ricamo in Sicilia arriva con i Saraceni, i quali fondarono il "thiraz": il laboratorio di tessitura in cui si confezionavano gli abiti del sultano e della corte

Elio Di Bella
Docente e giornalista
  • 20 luglio 2023

Un dettaglio della coperta di Usella al "Victoria and Albert Museum"

I tempi in cui "Berta filava" furono celebri in tutta la Sicilia dove aristocratiche, monachelle e popolane filavano e le contadine si dedicavano alla fatica di battere gli steli del lino per farne cadere il seme e poi legarli e trasportarli nelle gore del fiume, dove l’acqua li macerava, e da lì venivano poi estratti e prosciugati e battuti a forza, per denudarli.

Infine il lino tormentato dal cardo, arrotolato sul fuso e dipanato sull’aspo, finiva sull’arcolaio. Da tanto affanno nasceva in Sicilia il motto «iddu passau li guai di lu lino», riferendosi a tutte le angosce di una vita.

La Sicilia fu tra le patrie del ricamo sulla tela, il trapunto.

La più antica e la più famosa coltre di tela ricamata a trapunto si deve ad una donna siciliana ed è conservata al "Victoria and Albert Museum", un museo di arti applicate situato in Cromwell Road nella zona di South Kensington a Londra.

Si tratta della "Coperta Guicciardini o di Usella", uno dei pochi meravigliosi lavori in "trapunto" giunti sino a noi, dalla fine del XIV secolo, realizzato in un laboratorio siciliano, come testimoniano le scritte in dialetto siciliano a caratteri gotici che compaiono sul fondo della coperta.
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Questa coperta apparteneva al conte Ferdinando Guicciardini e sua moglie, la contessa Maddalena, la ritrovò nella loro villa di Usella nel 1890.

L’artigiana siciliana che la realizzò, ci dice la storica dell’arte Maria Accascina, "vi narrò, estasiata, la patetica leggenda di Tristano e Isotta che già nel ‘300 correva nel popolo accanto alle altre più diffuse del ciclo carolingio.

Passo per passo, sulla tela di lino, e fermata dalla guglia di lino stesso, con un trapunto a rilievo, or basso or alto, l’ignota fanciulla seguì tutta la tragica sorte di Tristano e chiarificò le sue rappresentazioni con leggende in pretto siciliano.

La storia di Tristano sulla coperta di lino a Londra si svolge in sei rettangoli e nella bordura che gira intorno senza che alcuna difficoltà di prospettiva, di complicata azione arresti l’esecutrice che sa di ogni scena, prendere l’essenziale, il concisamente espressivo tale e quale fanno i pittori dei carretti siciliani o, lontano nel tempo, i ceramografi sicelioti.

In un riquadro, ecco la barca di Tristano, con le vele gonfie, sul mare dalle onde increspate in cui stanno i pesci; ecco Tristano che ferisce Amoroldu e l’esattore che fa pagare i tributi a Re Marco; ecco l’arrivo delle 30 galee in Cornovaglia.

E non soltanto, l’azione, ma anche l’ambiente con virgulti e racemi, con colonne e capitelli corinzii. Un prodigio di vivacità inventiva, degno in tutto di una contemporanea di Cecco da Naro”.

L'impostazione del progetto iconografico e il taglio sartoriale, ce la mostrano come una coperta moderna, che gli amichi chiamavano coltre, ossia panno che un tempo veniva usato per coprire o per celare gli oggetti da non mostrare, come letti o cassoni e tavoli: altri come paramento da muro, cioè un' impannata'.

L’arte del ricamo in Sicilia viene introdotta dai Saraceni, che dopo la conquista dell’Isola fondano il ‘thiraz’, laboratorio di tessitura e ricamo, in cui si confezionavano gli abiti e i paramenti del sultano e della sua corte.

Il verbo "ricamare" deriva dall'arabo 'raqama' o 'raqqama'.

Il thiraz continuò la sua attività anche dopo la conquista normanna. Infatti quando Ruggero II capì che i laboratori Thiraz arabi potevano essere potenziati, si adoperò affinché i migliori ricamatori, tessitori e lavoratori della seta, ma anche artigiani abili nel creare con metalli, pietre e gemme, perle e cristalli, avorio, argento e bronzo, si ritrovassero in quello che divenne il luogo più prestigioso per la realizzazione dei lavori tessili e non: il Thiraz di Palermo, annesso al Palazzo Reale.

Ed è proprio nei laboratori reali Thiraz di Palermo che sono stati realizzati alcuni dei ricami più ricchi e belli della storia, oltre ad innumerevoli oggetti di fattura straordinaria, che facevano parte di quello che fu definito il Tesoro Imperiale.

È stato tessuto appunto in questi laboratori il mantello di re Ruggero II d’Altavilla, re di Sicilia, chiamato anche "mantello dell’incoronazione" che si trova esposto presso il Weltliche Schatzkammer della Hofburg, cioè il Museo imperiale di Vienna.

Dalla Sicilia le tecniche arabe si diffusero per tutta la penisola e di qui al resto d'Europa; ogni zona elaborò un proprio stile, influenzato dal gusto e dalla disponibilità del materiale locale.

La produzione siciliana era supportata anche dalla coltivazione del cotone e dei Gelsi per l’allevamento del baco da seta.

Dal Medioevo in poi, anche in Sicilia il trapunto cedette il posto agli sfilati.

Lo Sfilato, da sfilare, significa letteralmente “tirare i fili”, tecnica di ricamo che si esegue sfilando la tela per fa sì che si ottenga una rete (reticolato) che poi viene “intramata”, sia nel senso della trama che dell’ordito, per realizzare il motivo che si esegue dal disegno.

I ricami siciliani delle donne della Kalsa, di questo genere, vennero esportati in mezzo mondo. La preziosa tecnica di esecuzione dello sfilato siciliano è catalogata tra i Beni Immateriali dell’UNESCO. A Chiaramonte Gulfi (Rg) abbiamo il Museo del Ricamo e dello Sfilato Siciliano.

Il Seicento in Sicilia fu invece l’epoca delle «cuttunine», le belle coltri imbottite col cotone coltivato in Sicilia. I corredi nuziali siciliani di tela di lino erano allora in concorrenza con quelli di tela di Olanda.

Dai secoli più remoti fino a ieri dai telai in Sicilia nascevano il corredo per le spose, la tovaglia d’altare, il fazzoletto per il sacro calice.

Ammiratissima era la «garera», la tessitrice che lavorava molte ore al giorno, accanto alla canestra, piena di cannelli per il filo della trama. Iniziva il suo lavoro con il segno della croce, con un’Ave Maria e la garera «con un pane e una sarda ci agghiorna e scura», diceva il proverbio.

In Sicilia troviamo, ci dice Maria Accascina, "la tela di casa, dove l’ordito e il ripieno sono impeccabilmente eguali, la tela di damasco, fregiata a disegni, la tela di «stuppa», grossolana e ordinaria, la tela a «cuttuni», in cui l’ordito di filo e il ripieno è cotone.

In tutti i modi più adatti per l’uso da farne: «lu rigatinu a canna scacciata», cioè a fascia per busti e sottocalzoni; «lu frustagnu» a colori, per contadini, per materassi e gonnelle, «li tuvagghiuna pi mappini» e, infine, le coltri, quelle più rare dette «sfiuccati o pilusi» e le altre, più comuni, con un disegno «a nevula», a «scorcia di mennula», a «spica», a «speziu», a «cocciu di risu», a «strata palermu».
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