Vivono lontani ma la Sicilia li "chiama" sempre: la sfida di 11 giovani per l'Isola
Un gruppo di professionisti siciliani sparsi per il mondo ha fondato "Chiamata Sicilia", così (anche da lontano) portano avanti progetti per fare crescere la loro terra
I 4 soci fondatori di "Chiamata Sicilia": Carlo Giannone, Bruno Salerno, Alessio Mangione e Diletta Tidona
C'è Carlo Giannone, 27 anni di Ragusa, che attualmente vive e lavora a Boston come ricercatore presso la Harvard Kennedy School ed è un consulente per la Boston Consulting Group. Con lui, che ha fondato il gruppo e ne è il presidente, ci sono anche altri talenti come Alessio Mangione, anche lui 27anni, di Catania e trasferitosi a Barcellona, dove lavora nel settore farmaceutico contribuendo alla gestione dei dati per la ricerca e sviluppo nel dipartimento di Data Science e Intelligenza Artificiale.
Ancora, Diletta Tidona, di Caltagirone, che è Global Advisor in Intesa Sanpaolo a Torino e Bruno Salerno
Chiamata Sicilia non è un’associazione di “siciliani all’estero” in senso classico, né un gruppo che osserva l’Isola da lontano. È piuttosto una comunità ibrida apartitica, composta da chi è partito e di chi è rimasto, da chi si muove continuamente tra città e paesi diversi, mantenendo però un legame vivo, operativo e costante con la propria terra.
«Vogliamo mettere a sistema le competenze maturate altrove per restituirle al territorio, superando la narrazione esclusivamente negativa legata alla cosiddetta fuga dei cervelli - spiega Bruno Salerno, vicepresidente dell’associazione – muoversi oggi è una possibilità, non una colpa. La vera sfida è trasformare questa mobilità in valore per la Sicilia».
L’associazione ha scelto di muoversi lungo due direttrici principali. Da un lato c’è il lavoro di analisi e advocacy (promozione): produzione di report, studi e policy paper (documento che analizza un problema) su temi chiave per lo sviluppo regionale, da portare all’attenzione delle istituzioni.
«Il nostro obiettivo – dichiara il presidente Carlo Giannone – è offrire contributi concreti, basati su dati e competenze, per affrontare questioni strutturali come l’istruzione, lo sviluppo economico, l’innovazione, lo spopolamento e il lavoro giovanile».
Un primo esempio concreto è arrivato lo scorso mese, quando Chiamata Sicilia è stata invitata a Caltagirone per un confronto sulle aree interne, offrendo un contributo analitico sulle criticità e sulle possibili traiettorie di intervento.
Accanto al lavoro di proposta politica, l’associazione punta molto sulla dimensione culturale e formativa. Incontri con le scuole, programmi di mentoring, presentazioni di libri e momenti di confronto pubblico sono pensati per tenere vive le comunità, rafforzare il senso di appartenenza e stimolare una riflessione collettiva sul futuro dell’Isola. Perché il cambiamento, prima ancora che economico o istituzionale, è culturale.
In questo percorso si inserisce il convegno “L’isola che verrà”, in programma il 27 dicembre pomeriggio al Palazzo della Cultura di Catania. Un appuntamento che vuole essere tutto fuorché l’ennesima lista di numeri negativi. «Immaginare il futuro della Sicilia significa prima di tutto cambiare il modo in cui la raccontiamo - sottolinea Salerno - per questo abbiamo voluto un incontro che mettesse insieme voci del mondo imprenditoriale, universitario e culturale, capaci di offrire visioni e prospettive, non solo diagnosi».
L’obiettivo è spostare lo sguardo dal racconto dell’emergenza a quello della possibilità, provando a immaginare una Sicilia del futuro costruita su competenze, reti e responsabilità condivise.
Il senso profondo della mission di questi undici giovani è racchiuso nel nome dell’associazione. Chiamata Sicilia è la chiamata come strumento di connessione tra persone e competenze, ma anche come spinta interiore all’impegno civile. Un invito a non restare spettatori di un racconto immobile, ma a diventarne finalmente autori. Perché a volte, rispondere ad una chiamata è già il primo passo per cambiare le cose.
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