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Voleva fare l'ingegnere ed è diventato un missionario: "Il senso della vita è negli occhi degli ultimi"

È la storia di padre Mario Pellegrino, missionario marsalese di 34 anni. Un incontro speciale gli ha cambiato la vita e scaldato così tanto il cuore da fargli capire qual era la sua vocazione

Jana Cardinale
Giornalista
  • 13 ottobre 2021

Il missionario Mario Pellegrino

C’è un mare di caldissime emozioni nelle parole di padre Mario Pellegrino, missionario marsalese di 34 anni. Che ha scoperto il senso della vita guardando negli occhi chi non ha niente: i più poveri, gli ultimi, che cercano dio in un segnale d’amore, in una mano che stringe la loro e che possa raccontare l’arrivo di un abbraccio.

Nella speranza che la cultura di pace spazzi via da questo mondo sfortunato afflitto dall’odio tutta l’aridità e le ingiustizie che allontanano sempre di più chi ha diritti e privilegi e chi non ha che il bisogno di una vita semplice e giusta. Le sue missioni oggi sono sostenute da chi crede che contribuire a dare speranza sia il modo migliore per illuminare il proprio tempo, da tante associazioni del territorio che intervengono per i suoi progetti solidali, come le cene organizzate per raccogliere fondi in favore delle popolazioni bisognose.

A breve se ne terrà una in città, destinata a delle borse di studio da ‘devolvere’ in Sud Sudan, dove si svolge la sua missione. «Da giovane non avevo mai pensato di diventare missionario o partire per i paesi poveri del mondo – dice – avevo altri sogni, studiavo ingegneria a Palermo; poi un amico mi presentò don Enzo Amato: è stato un incontro inaspettato, che mi ha toccato il cuore.
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Ero in un momento delicato della mia vita in cui stavo cercando di capirne il senso e il modo in cui volevo spenderla. Enzo Amato mi ha parlato con un sorriso coinvolgente e con grande entusiasmo della sua esperienza con il popolo sofferente dell’Ecuador. Il mio cuore bruciava ascoltando le sue storie; ero fortemente stupito dall’energia e dalla felicità di questo missionario e mi sono detto che volevo avere la stessa gioia e lo stesso entusiasmo di quest’uomo”.

Mario Pellegrino partendo ha incontrato bambini piccoli, di 4 o 5 anni, che lo hanno guardato profondamente negli occhi. E gli hanno mostrato il loro stomaco. Ha visto le persone soffrire e questa sofferenza è diventata la suaa sofferenza. Ha capito che non avrebbe potuto continuare a vivere senza dedicare tutta la sua esistenza ai più poveri e abbandonati, i crocifissi del terzo millennio. E’ rimasto impressionato dalle parole di Daniele Comboni che ha affermato che «l’Africa e i poveri hanno preso possesso del mio cuore che vive solo per loro».

I poveri gli hanno mostrato il volto di Dio. «Mi sento innamorato di questo dio che è appassionato per l’umanità e che lotta perché i poveri possano avere vita ed essere liberati dalla loro schiavitù». Mario Pellegrino è un missionario comboniano, e a 19 anni inizia la sua esperienza in Etiopia. Dal contatto con i poveri che hanno fame e profondo bisogno di vita, dopo tre settimane rientrando a Marsala comprende che la propria vita non può più essere quella di prima.

Non può più avere senso se non dedicandola agli ultimi e ai poveri, secondo il modello di padre Alex Zanotelli, simbolo di giustizia solidale e di lotta per la liberazione dei poveri dalla loro condizione di povertà. «Un’esperienza meravigliosa, perché toccando loro toccavo il volto crocifisso del Signore».

Dopo il periodo di formazione con i missionari comboniani è stato mandato in Sud Sudan, il paese più giovane del mondo, diventato indipendente nel 2011 ma che da più di 50 anni vive in un contesto di guerra. Dopo il referendum con la divisione del paese le cose non sono migliorate e purtroppo con la guerra etnica al suo interno ci sono milioni di vittime ogni anno.

«Vogliamo essere costruttori di pace e di fraternità in un mondo che è lacerato da odio, violenza e vendetta – aggiunge - .
Cerchiamo di condividere la vita con la gente: siamo tre missionari in una capanna e ci muoviamo a piedi per visitare le diverse comunità: si impara da loro, dagli ultimi, dai bambini che purtroppo muoiono per malaria.

Lì non ci sono medici né infermieri, ma speriamo che la medicina arrivi e anche l’istruzione. La nostra missione si svolge in un territorio grande quanto la Sicilia, dove non c’è una scuola secondaria. Noi avevamo una scuola tecnica ma nel 2014 con la guerra è stata rasa al suolo ed oggi è tutto difficile. Ogni tre anni abbiamo tre mesi di ‘vacanza’ per visitare la famiglia e poi ripartiamo per altri tre anni».

Padre Mario racconta di essersi laureato in ingegneria informatica nel luglio 2009, e di aver iniziato il cammino di formazione nel settembre dello stesso. “Non ho mai lavorato un giorno secondo i miei studi. Ho subito cambiato la mia strada. Lì ci sono le scuole primarie ma il livello è molto basso. Noi viviamo nella zona dell’opposizione al Governo: gli insegnanti non sono pagati né formati, le scuole secondarie non ci sono ma la gente sogna di studiare e attraverso l’educazione trasformare la cultura di guerra e vendetta. Noi cerchiamo di mandarli nella capitale, a Giuba o in Kenia o in Uganda dove ci sono delle scuole”.

Altre missioni in passato sono state dedicate a dar vita a degli asili, per permettere a questi bambini di crescere in ambiente più sano e cercare la cultura di pace, amicizia e fraternità, piuttosto che finire con l’impugnare un fucile. Si cerca insieme il dio della pace. L’obiettivo è quello di tornare a casa e poter trasformare questa cultura dell’odio.

«Mi colpisce sempre la grande generosità della gente: lì c’è fame e quando va bene si mangia una volta al giorno, ma si fa in modo che nessuno muoia di fame perché la gente condivide quel niente che ha. E’ un insegnamento molto grande per me e spero che lo sia nella nostra società. Loro parlano dei missionari; noi siamo una presenza semplice e per loro è il segno che dio non ha dimenticato questo popolo».

A Marsala un’altra cena solidale il 3 novembre proverà a dare ancora una speranza a chi, da lontano, attende, senza molte speranze. Con i fondi di quella serata in Sud Sudan si potrà studiare e affrancarsi dalla solitudine di un destino che non ha pensato a un futuro per tanti giovani che nonostante tutto credono in un mondo migliore.
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