"Che si parta dalla scuola": la voce di una studentessa di Palermo contro il bullismo
Novembre porta con sé il ricordo di un ragazzo che 13 anni fa ha scelto di porre fine alla sua vita a causa del bullismo: ecco come reagiscono le scuole di Palermo
Il film "Il ragazzo dai pantaloni rosa"
L’adolescenza dovrebbe essere un periodo spensierato per tutti, eppure molti ragazzi la vivono con una estrema pesantezza. Infatti, secondo una indagine dell’Osservatorio indifesa di "Terres des Hommes" e "OneDay", il 65% dei giovani tra i 14 e i 26 anni in Italia ha dichiarato di essere stato vittima di violenza. In particolare, il 63% di questi dichiara di aver subito bullismo o cyberbullismo.
Novembre in questo senso è un mese significativo, che porta con sé il ricordo di un ragazzo che, ormai 13 anni fa, ha scelto di porre fine alla sua vita a causa delle costanti vessazioni subite dai suoi coetanei. Parliamo di Andrea Spezzacatena, le cui vicende hanno ispirato il film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”.
Questo è quello che ha spinto Federica Davì, una studentessa palermitana, a scrivere una lettera indirizzata al presidente della Repubblica: «Il mio interesse è essere la voce di tanti studenti che non riescono a parlare e non riescono a dire la propria, e che hanno paura di parlare, soprattutto in casi in cui si sentono giudicati - racconta Federica Davì a Balarm -. Ho raccolto alcuni dati dal sito "minori.gov.it", quello che ne esce è un problema reale e tangibile, che sfocia spesso nella sfiducia nei confronti dei coetanei e in disturbi come l’autolesionismo».
Per la ragazza il problema è sistemico, non si può guardare al fenomeno solo superficialmente, serve analizzare entrambe le parti: «Viviamo in un mondo di giudicanti e di giudicati. Il giudizio ha molte forme, quello che succede è che i ragazzi si sentano inadeguati. Si è giudicati perché si è troppo appariscenti, perché lo si è troppo poco, qualsiasi motivo è buono per puntare il dito. Il problema però è più complesso di così. Spesso chi giudica lo fa come risposta al giudizio che egli stesso vive».
La vicenda di Andrea Spezzacatena ha smosso qualcosa tra tutti gli studenti che hanno visto il film a lui dedicato, proiettato nelle scuole di tutti i gradi: «Andrea Spezzacatena è un esempio prorompente di bullismo, credo sia un esempio di quanto la società possa fallire. Quello di Andrea Spezzacatena per me è un vero e proprio omicidio.
L’anno scorso si è accesa per me una lampadina, speravo che il potere del cinema potesse colpire gli spettatori, dato che è stato un film promosso in tantissime scuole, compresa la mia. Credo che la diffusione del film sia stata un’azione molto importante, ma è bastato? Serve continuare ad agire».
Ed è sull’importanza di azioni concrete che si sofferma la studentessa. La visione del film deve essere solo un tassello nella costruzione di consapevolezza e di azioni che entrino nella quotidianità degli studenti, partendo dalle ore di educazione civica.
«Noi studenti abbiamo più volte smosso questo tema nei dibattiti tra noi e nelle assemblee di istituto, ma questo non basta. Il problema è culturale ed è dalla scuola che si deve partire. Noi a scuola facciamo educazione civica. Secondo me è la materia più importante del programma scolastico, e spesso viene ridotta alle due ore in cui si fa magari un power point.
Serve conoscere quello che accade, prima di conoscere le materie curriculari, per attuare delle azioni concrete, serve collaborare con le istituzioni. Io a livello scolastico sicuramente proporrò qualcosa, poi tra l’altro, io ho collaborato negli ultimi due anni con la garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del Comune di Palermo la professoressa Giovanna Perricone, e vorrei che anche lei fosse disponibile a portare avanti delle iniziative che possano essere all’interno delle classi».
Gli studenti chiedono a gran voce che venga fatto un intervento strutturale, che parta dalla scuola, passando da tutti i luoghi del sapere, finendo per creare una rete di supporto in cui parlare della tematica senza giudizi e per non assistere più a brutture simili.
Federica Davì ha scritto questa lettera al presidente Sergio Mattarella: «Egregio Presidente della Repubblica, mi voglio presentare non con il mio nome, ma come la voce di chi non ha il coraggio e ha paura di parlare. Ho 17 anni, sono una studentessa del Liceo Classico Meli, situato nella sua città natale, Palermo.
Ho deciso di scriverle questa lettera perché mi sono resa conto di vivere in un Paese in cui la libertà di esprimersi, la libertà di esternare i propri pensieri, e la libertà di affermazione in quanto persone è garantita dalla nostra stessa Costituzione e in quanto detentore di quest’ultima mi è sembrato un dovere scriverle.
Vorrei cominciare questa lettera presentando alcuni dati. Il 65% dei giovani (si legge nel sito di Terre des Hommes )dichiara di essere stato vittima di violenza e tra questi il 63% ha subito atti di bullismo e il 19% di cyberbullismo. Queste violenze prendono di mira soprattutto l’aspetto fisico 79%, l’orientamento sessuale 15%, la condizione economica 11%, l’origine etnica e geografica 10.5%, l’identità di genere 9%, la disabilità 5% e la religione 4%.
Le conseguenze di queste violenze sui ragazzi sono pesanti: perdita di autostima, fiducia negli altri, riscontrata dal 75% dei giovani; il 47% soffre di ansia sociale e attacchi di panico, il 45% segnala isolamento e allontanamento dai coetanei.Gli altri effetti negativi sono: difficoltà di concentrazione e basso rendimento scolastico 28%, depressione 28%, paura e rifiuto della scuola 24%, disturbi alimentari 24%, autolesionismo 20%.(minori.gov.it).Come effetto negativo aggiungerei anche il suicidio.
Partendo da questi dati - continua Federica nella lettera - in me è sorta una profonda riflessione. Ho un forte pessimismo nei confronti della generazione di cui faccio parte, poiché pregiudizi, giudizi, discriminazioni, insulti, prese in giro, denigrazioni, vessazioni, abusi, sono all’ordine del giorno. Il mondo in cui vivo è un mondo di giudicanti e giudicati e non è inevitabile che i primi non siano anche i secondi, i ruoli molte volte si intercambiano anche perché essere giudicati può portare come spontanea reazione a giudicare.
Il mio approccio al giudizio nasce alle scuole elementari. Ricordo di aver vissuto molto male la scuola, sentivo addosso un forte peso che mi portava a trovare strategie per essere “accettata”, per potermi integrare. Da lì questa sensazione non è mai svanita.
Non seguire la massa è sinonimo di essere “diversa/o”. Vieni giudicata/o perché sei “troppo”: se pesi troppo, se pesi troppo poco; se ti trucchi troppo, se ti trucchi troppo poco; se ti vesti in modo troppo scoperto o troppo coperto, ancora non ho ben compreso chi decide questo “troppo”.
Vieni giudicato se sei uomo ma non rispecchi i canoni da uomo, se sei donna e non rispecchi i canoni da donna. Vieni giudicato se provi attrazione per il tuo stesso sesso. L’omotransfobia è uno dei tanti disagi con cui moltissime ragazze e ragazzi devono combattere giornalmente. Ormai sembra che la nostra società sia andata avanti, e per questo ero convinta, o forse cercavo solo di convincermene, che i ragazzi della mia età non avessero più idee omofobe.
Ma se fai una cosa sbagliata, stupida, l’insulto che ricevi è “SEI GAY”, ”SEI FROCIO”, “MA SEI LESBICA”, “SEI RICCHIONE”, “SEI FINOCCHIO”. Mi chiedo perché magicamente un orientamento sessuale sia diventato un insulto. In molti casi la scuola finisce per diventare un ambiente tossico, lontano dalla sua funzione originaria di luogo di crescita e cultura. Negli ultimi anni sono stati avviati progetti contro bullismo e cyberbullismo, ma per mia esperienza i seminari e incontri non sono sufficienti, il fenomeno resta ancora profondamente radicato e richiede interventi più concreti e continuativi.
Quasi un anno fa ho sentito un po’ di speranza a riguardo. È uscito un film, trasmesso nella maggior parte dei cinema italiani e soprattutto promosso in tantissime scuole. Un film che parla di bullismo e cyberbullismo, di giudizi e di “diversità”. Qui una lampadina in me si è accesa, speravo che il forte potere del cinema e della storia narrata potesse scalfire gli animi dei miei coetanei spettatori e che coloro i quali sono soliti giudicare superficialmente venissero sorpresi da un fortissimo senso di colpa che potesse penetrare in loro fino alle ossa.
Il film in questione é “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, film che narra la storia del preziosissimo Andrea Spezzacatena che il 20 novembre di 13 anni fa si è tolto la vita. La storia di Andrea è un chiaro esempio di quanto le pressioni sociali possano addirittura uccidere perché quello di Andrea è stato un omicidio non un suicidio.
Tornando al principio, le mie parole vogliono essere la voce di chi come Andrea in questo momento si sente oppresso e cancellato dalla società e che vorrebbe sentirsi più protetto da uno Stato in cui è la nostra Costituzione, che lei difende, che ci permette di essere liberi, ma che non viene rispettata dai cittadini stessi - conclude Federica Davì -. Sono certa della sua attenzione e sensibilità e spero che si farà promotore di azioni più forti e incisive che partano dal sistema educativo».
Novembre in questo senso è un mese significativo, che porta con sé il ricordo di un ragazzo che, ormai 13 anni fa, ha scelto di porre fine alla sua vita a causa delle costanti vessazioni subite dai suoi coetanei. Parliamo di Andrea Spezzacatena, le cui vicende hanno ispirato il film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”.
Questo è quello che ha spinto Federica Davì, una studentessa palermitana, a scrivere una lettera indirizzata al presidente della Repubblica: «Il mio interesse è essere la voce di tanti studenti che non riescono a parlare e non riescono a dire la propria, e che hanno paura di parlare, soprattutto in casi in cui si sentono giudicati - racconta Federica Davì a Balarm -. Ho raccolto alcuni dati dal sito "minori.gov.it", quello che ne esce è un problema reale e tangibile, che sfocia spesso nella sfiducia nei confronti dei coetanei e in disturbi come l’autolesionismo».
Per la ragazza il problema è sistemico, non si può guardare al fenomeno solo superficialmente, serve analizzare entrambe le parti: «Viviamo in un mondo di giudicanti e di giudicati. Il giudizio ha molte forme, quello che succede è che i ragazzi si sentano inadeguati. Si è giudicati perché si è troppo appariscenti, perché lo si è troppo poco, qualsiasi motivo è buono per puntare il dito. Il problema però è più complesso di così. Spesso chi giudica lo fa come risposta al giudizio che egli stesso vive».
La vicenda di Andrea Spezzacatena ha smosso qualcosa tra tutti gli studenti che hanno visto il film a lui dedicato, proiettato nelle scuole di tutti i gradi: «Andrea Spezzacatena è un esempio prorompente di bullismo, credo sia un esempio di quanto la società possa fallire. Quello di Andrea Spezzacatena per me è un vero e proprio omicidio.
L’anno scorso si è accesa per me una lampadina, speravo che il potere del cinema potesse colpire gli spettatori, dato che è stato un film promosso in tantissime scuole, compresa la mia. Credo che la diffusione del film sia stata un’azione molto importante, ma è bastato? Serve continuare ad agire».
Ed è sull’importanza di azioni concrete che si sofferma la studentessa. La visione del film deve essere solo un tassello nella costruzione di consapevolezza e di azioni che entrino nella quotidianità degli studenti, partendo dalle ore di educazione civica.
«Noi studenti abbiamo più volte smosso questo tema nei dibattiti tra noi e nelle assemblee di istituto, ma questo non basta. Il problema è culturale ed è dalla scuola che si deve partire. Noi a scuola facciamo educazione civica. Secondo me è la materia più importante del programma scolastico, e spesso viene ridotta alle due ore in cui si fa magari un power point.
Serve conoscere quello che accade, prima di conoscere le materie curriculari, per attuare delle azioni concrete, serve collaborare con le istituzioni. Io a livello scolastico sicuramente proporrò qualcosa, poi tra l’altro, io ho collaborato negli ultimi due anni con la garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del Comune di Palermo la professoressa Giovanna Perricone, e vorrei che anche lei fosse disponibile a portare avanti delle iniziative che possano essere all’interno delle classi».
Gli studenti chiedono a gran voce che venga fatto un intervento strutturale, che parta dalla scuola, passando da tutti i luoghi del sapere, finendo per creare una rete di supporto in cui parlare della tematica senza giudizi e per non assistere più a brutture simili.
Federica Davì ha scritto questa lettera al presidente Sergio Mattarella: «Egregio Presidente della Repubblica, mi voglio presentare non con il mio nome, ma come la voce di chi non ha il coraggio e ha paura di parlare. Ho 17 anni, sono una studentessa del Liceo Classico Meli, situato nella sua città natale, Palermo.
Ho deciso di scriverle questa lettera perché mi sono resa conto di vivere in un Paese in cui la libertà di esprimersi, la libertà di esternare i propri pensieri, e la libertà di affermazione in quanto persone è garantita dalla nostra stessa Costituzione e in quanto detentore di quest’ultima mi è sembrato un dovere scriverle.
Vorrei cominciare questa lettera presentando alcuni dati. Il 65% dei giovani (si legge nel sito di Terre des Hommes )dichiara di essere stato vittima di violenza e tra questi il 63% ha subito atti di bullismo e il 19% di cyberbullismo. Queste violenze prendono di mira soprattutto l’aspetto fisico 79%, l’orientamento sessuale 15%, la condizione economica 11%, l’origine etnica e geografica 10.5%, l’identità di genere 9%, la disabilità 5% e la religione 4%.
Le conseguenze di queste violenze sui ragazzi sono pesanti: perdita di autostima, fiducia negli altri, riscontrata dal 75% dei giovani; il 47% soffre di ansia sociale e attacchi di panico, il 45% segnala isolamento e allontanamento dai coetanei.Gli altri effetti negativi sono: difficoltà di concentrazione e basso rendimento scolastico 28%, depressione 28%, paura e rifiuto della scuola 24%, disturbi alimentari 24%, autolesionismo 20%.(minori.gov.it).Come effetto negativo aggiungerei anche il suicidio.
Partendo da questi dati - continua Federica nella lettera - in me è sorta una profonda riflessione. Ho un forte pessimismo nei confronti della generazione di cui faccio parte, poiché pregiudizi, giudizi, discriminazioni, insulti, prese in giro, denigrazioni, vessazioni, abusi, sono all’ordine del giorno. Il mondo in cui vivo è un mondo di giudicanti e giudicati e non è inevitabile che i primi non siano anche i secondi, i ruoli molte volte si intercambiano anche perché essere giudicati può portare come spontanea reazione a giudicare.
Il mio approccio al giudizio nasce alle scuole elementari. Ricordo di aver vissuto molto male la scuola, sentivo addosso un forte peso che mi portava a trovare strategie per essere “accettata”, per potermi integrare. Da lì questa sensazione non è mai svanita.
Non seguire la massa è sinonimo di essere “diversa/o”. Vieni giudicata/o perché sei “troppo”: se pesi troppo, se pesi troppo poco; se ti trucchi troppo, se ti trucchi troppo poco; se ti vesti in modo troppo scoperto o troppo coperto, ancora non ho ben compreso chi decide questo “troppo”.
Vieni giudicato se sei uomo ma non rispecchi i canoni da uomo, se sei donna e non rispecchi i canoni da donna. Vieni giudicato se provi attrazione per il tuo stesso sesso. L’omotransfobia è uno dei tanti disagi con cui moltissime ragazze e ragazzi devono combattere giornalmente. Ormai sembra che la nostra società sia andata avanti, e per questo ero convinta, o forse cercavo solo di convincermene, che i ragazzi della mia età non avessero più idee omofobe.
Ma se fai una cosa sbagliata, stupida, l’insulto che ricevi è “SEI GAY”, ”SEI FROCIO”, “MA SEI LESBICA”, “SEI RICCHIONE”, “SEI FINOCCHIO”. Mi chiedo perché magicamente un orientamento sessuale sia diventato un insulto. In molti casi la scuola finisce per diventare un ambiente tossico, lontano dalla sua funzione originaria di luogo di crescita e cultura. Negli ultimi anni sono stati avviati progetti contro bullismo e cyberbullismo, ma per mia esperienza i seminari e incontri non sono sufficienti, il fenomeno resta ancora profondamente radicato e richiede interventi più concreti e continuativi.
Quasi un anno fa ho sentito un po’ di speranza a riguardo. È uscito un film, trasmesso nella maggior parte dei cinema italiani e soprattutto promosso in tantissime scuole. Un film che parla di bullismo e cyberbullismo, di giudizi e di “diversità”. Qui una lampadina in me si è accesa, speravo che il forte potere del cinema e della storia narrata potesse scalfire gli animi dei miei coetanei spettatori e che coloro i quali sono soliti giudicare superficialmente venissero sorpresi da un fortissimo senso di colpa che potesse penetrare in loro fino alle ossa.
Il film in questione é “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, film che narra la storia del preziosissimo Andrea Spezzacatena che il 20 novembre di 13 anni fa si è tolto la vita. La storia di Andrea è un chiaro esempio di quanto le pressioni sociali possano addirittura uccidere perché quello di Andrea è stato un omicidio non un suicidio.
Tornando al principio, le mie parole vogliono essere la voce di chi come Andrea in questo momento si sente oppresso e cancellato dalla società e che vorrebbe sentirsi più protetto da uno Stato in cui è la nostra Costituzione, che lei difende, che ci permette di essere liberi, ma che non viene rispettata dai cittadini stessi - conclude Federica Davì -. Sono certa della sua attenzione e sensibilità e spero che si farà promotore di azioni più forti e incisive che partano dal sistema educativo».
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