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A Cruillas c'è un capolavoro da tutelare: una villa (mai finita) in un quartiere "devastato"

La villa palermitana non fu mai ultimata ma resta testimone dei desiderata della committenza colta, un capolavoro di tufo da studiare approfonditamente ancora oggi

Danilo Maniscalco
Architetto, artista e attivista, storico dell'arte
  • 7 maggio 2022

Villa Arena a Cruillas

Tra le decine di brani di periferia della città di Palermo, uno dei frammenti maggiormente devastati dalla scarsità di qualità urbana, continuamente aggredito dal cemento che avanza (anche in questi giorni), il quartiere Cruillas si pone sul podio come testa di serie. La situazione è così drammatica da suggerire una sorta di zona speciale in cui le regole dell’urbanistica e della pianificazione siano state volutamente disattese.

Ne ha fatto le spese la qualità della vivibilità urbana (poche piazze e zero spazi sociali), il decoro urbano (marciapiedi e strade strette e sconnesse), ne continua a fare le spese il verde agricolo costantemente divorato, mentre si contano su poche dita le opere di architettura di qualità sempre e comunque nemmeno lontanamente valorizzate ne in procinto dell'intenzione di farlo.

Eppure lungo la via Trabucco insiste il più vecchio dei sanatori per tisici di Ernesto Basile (1904), la scuola elementare di Vincenzo Nicoletti (1931), il Baglio Mango, e in direzione della via Brunelleschi la Villa Vaginelli (1720) con l'antica pirrera e la preziosa “geologia stratificata” e la settecentesca Villa Arena.
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Quest'ultima governava insieme alla depredata Villa De Gregorio (XVIII sec.) sul fondale della via Pietro Scaglione, la bellezza rurale cancellata per sempre dalle decine di condomini intensivi a solo uso residenziale.

Commissionata dal giureconsulto Girolamo Arena nel XVIII secolo, parrebbe vi sia stato anche l'intervento dell'architetto Nicolò Palma (il progettista di a Villa Giulia). L'edificio, simmetrico e privo di aggettivazioni decorative di rilievo lungo i prospetti, ha due piani fuori terra e si caratterizza per la tipica texture monocroma affidata ai filari nudi di biocalcarenite tipici delle ville suburbane della Piana dei Colli della Conca aurea.

La villa non fu mai ultimata ma resta testimone dei desiderata della committenza colta, palesata attraverso la bellezza dirompente tardo baroccheggiante dello scalone centrale esterno “a tenaglia” a doppia rampa e balaustre, con volta centrale in asse col viale di collegamento al vecchio tessuto agricolo ormai letteralmente cancellato. Un capolavoro di tufo da studiare approfonditamente ancora oggi per estrapolarne la dimensione scultorea e stereometrica nella cura del dettaglio dei singoli elementi che risuonano nel tutto.

L'edificio, ancora oggi caratterizzato dal lieve frontone centrale arrotondato e arricchito da una cornice che prosegue perimetralmente lungo l'intero sviluppo del muretto d’attico, un tempo immerso tra i profumi di gelsomino e agrumi stagionali, presenta al piano terra una piccola cappella dedicata a San Francesco di Paola (1729) con pavimenti maiolicati e stemma del casato e con la pala d’altare raffigurante il santo.

Tra le poche occasioni di qualità urbana dell'intero comprensorio periferico, meriterebbe un restauro mirato magari attraverso una virtuosa partnership pubblico/privato per dotare questa parte di città abbandonata e priva di qualsiasi forma di servizi elementari, di un presidio culturale che malgrado tutto ne rappresenta già icona positiva di quel passato glorioso dimenticato dalla politica e da troppi cittadini.
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