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A Palermo giugno è il mese della "tunnina": fresca o "vugghiuta" tra storia e tradizione

Fu un certo Archestrato di Gela, nel 400 a.C., a scrivere che il "miglior tonno è quello che si pesca a Solunto". Segreti e "ricette" di uno dei pesci più amati dai siciliani

  • 9 giugno 2021

I tradizionali tranci di tonno delle pescherie a Palermo

Gli intenditori e coloro che conoscono gli angoli più tradizionali di Palermo lo sanno: il tonno è un pesce, "a tunnina" si mangia.

Il mese di giugno è il mese della "tunnina" nel capoluogo, la femmina del tonno, quella che si mangia perché le sue carni si prestano meglio alle diverse declinazioni delle più tradizionali ricette locali.

In ogni bancone di pescheria e in ogni angolo della città - in troppi per la verità considerato che la tunnina è molto delicata e si degrada facilmente - ogni anno spuntano tranci di questo pesce che, nelle varie epoche storiche, è passato alternativamente dall'essere carne pregiatissima, e dunque altrettanto costosa, all’essere cibo alla portata di tutti, dall’alto valore nutrizionale sempre.

Nella fattispecie, come ci ha raccontato Gaetano Basile, scrittore e narratore della Palermo più antica, le ultime due settimane di giugno sono quelle, da un certo punto di vista, più emblematiche per la vita, e il consumo, della tunnina.
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In particolare due date di fine mese erano, un tempo soprattutto, tenute ben in considerazione: il 24 e il 29 giugno, rispettivamente i giorni di San Giovanni e di San Pietro.

In prossimità di queste date, infatti, i banchi del pesce, dove padroneggiava la tunnina, cambiavano aspetto.

Sul trancio più grande spuntavano, da un giorno all'altro, tre garofani rossi che, come ci ha chiarito Basile appunto, accompagnati dall'imperdibile frase "abbanniata", «scalò a tunnina» (è calato il prezzo, ndr), erano un messaggio specifico diretto alla popolazione che voleva dire: o si compra adesso o la stagione del tonno è finita, per quest'anno.

Il sottotesto di questo linguaggio era meno romantico, ma comunque alla portata di tutti, e cioè le quote di tunnina rimaste erano ormai al limite della consumazione, in sostanza a un passo dall'andare a male e dunque dal dover essere buttate via.

Ma le massaie di un tempo, molto brave a districarsi in metodi e accorgimenti per rimediare all'impossibile, in alcuni casi, sapevano bene come ovviare a questo limite imposto dalla natura. Detto fatto, dopo l'acquisto della "tunnina scontata", procedevano alla così detta "vugghiuta di tunnina", che allontanava fetori e possibili intossicazione.

Il tonno veniva bollito, conservato sott'olio, con aggiunta di pepe nero e foglie d'alloro e conservato fino al 15 luglio, il giorno del Festino di Santa Rosalia.

In quest'occasione, il prodotto aveva perso gli olezzi preoccupanti e recuperato, semmai, un bell’aspetto e anche un buon sapore. L'olio di conservazione, nella fattispecie, veniva mischiato ad un trito di mentuccia fresca, altro simbolo dell'estate siciliana, e adagiato sui pezzi di tonnina, dal bell’aspetto marroncino originale, e consumato in ogni tavola della città.

Il consumo del tonno in Sicilia è storia veramente antica e legata anche alla cultura, all'arte in particolare che, ancora oggi, ne custodisce tracce e memoria.

Come ci ha raccontato Basile, che sul tonno e le tonnare ci ha scritto anche un libro (Tonnare indietro nel tempo, edito da Flaccovio Editore), le prime tracce del consumo di questo pesce risalgono alla preistoria, in particolare all'eta del Bronzo.
Il primo a lasciarne tracce scritte fu un certo Archestrato di Gela, primo siciliano che, nel 400 a.C., ne scrisse (ne rimangono ancora testimonianze) dicendo che il «miglior tonno è quello che si pesca a Solunto».

Nella fattispecie risale sempre a 2.400 anni a.C. la prima ricetta relativa al tonno che, ancora una volta, preferirebbe la femmina del tonno: in particolare viene descritta la preparazione di una fetta di tonno ricoperta da erbette odore di stagione, in sostanza l’odierno salmoriglio.

La tradizione storica della vendita della tunnina, negli anni, ha perso molto della sua sacralità legata anche all’arte del divisione nei così detti “stalli” ovvero i tranci.

Un tempo, a regola d’arte, si dividevano in 35 stalli, poi, dagli anni ’60 in poi, in 25, oggi, invece, tale regola sembra essere scomparsa se non nei banchi di pescheria più antichi e professionali.

Chiudiamo in bellezza e con l’arte, come dicevamo.

L’immagine più antica della pesca del tonno si trova raffigurata in un vaso, custodito al Museo Mandralisca di Cefalù; nel reperto rinvenuto, come d’uso all’epoca, sono utilizzati solo i due colori rosso e nero, per rappresentare oggetti e figure.

In un caso, invece, la moneta per il pagamento del tonno viene rappresentata con un colore chiaro, ad evocare il materiale prezioso quale l’argento, testimoniando il valore, all’epoca, che il tonno aveva.
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