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A volte quel che manca è una chiesa: una "follia" per il villaggio degli zolfari di Agrigento

L'artista Igor Scalisi Palminteri con l'AM3 Architetti Associati di Palermo ha "costruito" una Chiesa. Di quelle cose (belle) di cui oggi si sente parlare raramente

  • 18 febbraio 2022

Sentire oggi parlare di "costruzione di una Chiesa" è alquanto inusuale. Ditemi, quante volte vi è capitato di sentirlo? Ci avrei scommesso... perché è una cosa che non fa notizia, non si tratta di un mega centro commerciale o di un super grattacielo di qualche azienda o ente importante. Perché mai dovrebbe trovare spazio sulle pagine di un giornale la realizzazione di una chiesa, soprattutto in un luogo - sconosciuto ai più - della Sicilia?

Potrei dare una risposta molto semplice, quasi banale, e la darò: perché è una bella cosa, nella sua semplicità, nella sua povertà.

Ebbene, capita in una piccola e poco nota frazione di Agrigento, Villaggio Mosè, in cui si sta lavorando a passo spedito (dopo i due anni pandemici!). E farlo mica è una cosa da poco, progettare una chiesa è faccenda assai delicata e articolata, non a caso il regolamento, quando si tratta di edifici religiosi, prevede che insieme all'architetto (o agli architetti, come in questo caso), nel gruppo di lavoro debbano esserci anche altre due figure: liturgista e artista. E se poi l'artista in questione, per sette anni della sua vita è stato un frate, allora non si può perdere.
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È così che il palermitano Igor Scalisi Palminteri - di cui noi di Balarm vi abbiamo raccontato tante volte - è stato coinvolto insieme a don Luciano Calabrese, dalla AM3 Architetti Associati che circa tre anni fa ha risposto al bando dell'arcidiocesi di Agrigento proprio per la realizzazione di una "nuova" chiesa.

Ma partiamo dal luogo, Villaggio Mosè. Fu progettato dall’Ente Zolfi italiano nel 1939-40 e durante l’ultimo conflitto mondiale. Nacque come zona residenziale per gli operai della vicina miniera zolfifera della Ciavolotta ma fu una di quelle cose non riuscite. Lo so, leggerlo non è bello, ma non sono io a dirlo, bensì la storia e i fatti riportati dalla cronaca del tempo.

C'è un articolo di Alfonso Di Giovanna pubblicato sul settimanale l’amico del Popolo il 14 luglio 1969 e riportato su Agrigento Oggi, in cui sono spiegate molto dettagliatamente le condizioni in cui si trovava il Villaggio e ne riporto alcuni stralci per darvene una piccola idea. Si tratta di un' intervista fatta all'allora parroco Don Leopoldo Cucchiara che cercò per anni di aiutare quel luogo a risollevarsi, ad uscire dal degrado e dalle ingiustizie, richiedendo agli amministartori interevnti urgenti su più fronti: «Se desideri vedere la sofferenza umana, l’ineguaglianza e l’arretratezza civile - disse al giornalista - non hai bisogno di trasmigrare in un altro continente come l’Africa o l’Asia, ti basterà fermarti qui dove tutte queste cose esistono da tanti anni, ad un palmo del tuo naso, e tu, fin’ora, non te ne sei accorto».

E a furia di non fare nulla purtroppo, quel luogo franò pian piano, compresa la chiesa, abbattuta poi nel 2009 per problemi strutturali. Negli anni '60, sempre il parroco denunciava infatti una situazione assai grave soprattutto dopo un cedimento di terreno su cui insistevano le palazzine del Villaggio: «Già altre volte abbiamo denunziato dinanzi alla pubblica opinione lo stato di abbandono in cui versava il Villaggio Mose - scriveva - abbandono che aggravava le precarie condizioni stabilitesi sin dal nascere della borgata per l'estrema povertà dei mezzi impiegati nella sua costruzione».

E ancora, il 24 novembre del 1967 venne anche inviato un documento redatto da una equipe che si qualificaa come "gruppo di studio", al Prefetto di Agrigento, in cui fu sintetizzata la situazione del Villaggio. Tra i vari punti, anche questo: «Gli unici edifici pubblici sono: la scuola elementare e la Chiesa con annessa casa canonica costruiti con i criteri della massima economia in tempi di guerra o di autarchia tanto che parecchie sono le case in precarie condizioni di stabilità»

Ok, questa è (in breve) la storia, ed è il passato e noi vogliamo guardare avanti, ma sempre senza dimenticare.

E così, ecco che da zero, una chiesa adesso prende vita, anzi, è il caso di dirlo, prende forma. La Chiesa del Cuore Immacolato di Maria il cui altare è stato appena posizionato (vedi le foto).

«Un blocco unico quadrato di 6 tonnellate di marmo chiamato Avorio Segesta estratto da una cava di Custonaci (nel trapanese, ndr) - ci racconta Igor -. Volevo che fosse una pietra estratta dalla terra siciliana. Non è facile descrivere l’emozione e la tensione di quel momento in cui il blocco è stato mosso da una gru enorme e calato dal tetto all'interno della chiesa. Non smetterò mai di ringraziare i miei amici architetti per avermi coinvolto in questa straordinaria follia».

Una follia di quelle che fanno bene, che non bastano mai. Una follia che permette ad un gruppo di professionisti e ad un artista dotato di grande sensibilità, di sbizzarrirsi nella maniera ideale: «Io mi sto occupando di tutti gli arredi sacri e le opere d’arte che vi saranno all’interno. Quando mi hanno contattato per coinvolgermi spiegandomi quale "ruolo" avrei dovuto ricoprire, visto il mio passato da frate - dice ridendo Igor - "mi è venuto a scendere" (che tradotto per chi non fosse siciliano sta a significare che una cosa risulta assai piacevole da fare perché sta nelle proprie corde, ndr). Chi me lo doveva dire che mi sarei trovato a dover costruire una chiesa? La chiesa che per me è stata casa ma sul serio, ci ho vissuto per sette anni. È come un cerchio che in qualche modo si chiude».

Sente una bella, bellissima responsabilità Igor, che parla di questo progetto con grande emozione, «a me quando ero frate piaceva molto la liturgia, il criterio liturgico, una forma che racconta un contenuto. È questo è il contenuto più alto che possa immaginarie, attraverso il movimento del prete che visualizzo nella mia mente e il materiale. Abbiamo deciso di essere semplici, essenziali, abbiamo scalfito appena i lati dell'altare rendendo la superficie ruvida e aspra e creando un contrasto con il piano molto liscio e lucido, tutto questo ha che fare con le litrugue e le forme liturgiche, sta a simboleggiare la dualità di Cristo, Dio e Uomo. Il portale sarà dorato, in ottone anch'esso, sto utilizzando molto questo materiale, il dorato che ci indica lo spazio sacro. È un grande lavoro di squadra e ognuno mette in campo le proprie competenze».

«La chiesa si sta realizzando da zero sul sedime della chiesa abbattuta nel 2009 - spiega Marco Alesi dello studio di architettura di cui è socio con Cristina Calì e Alberto Cusumano - e il progetto comprende anche il recupero del complesso parrocchiale. Vincere il bando è stata una bella sopresa».

La sopresa ci sta, ma di certo il progetto lo merita, perchè racconta una storia, in cui sacro, divino e umano si intrecciano. «Il progetto per una Chiesa è qualcosa di diverso da quello di ogni altro edificio e non solo per delle regole e dei criteri da dover seguire, ma perché è un contesto ben preciso, in cui principale è la dimesione della fede di chi verrà in questo luogo. È una bella sfida.

«Non è semplice realizzare un’opera contemporanea che rimanga strettamente legata alla tradizione della Chiesa, un edificio ed uno spazio sacri che possano essere immediatamente riconoscibili e vivibili come tali che raccontino la storia del luogo, il Villaggio Mosè - continua l'architetto palermitano -. Abbiamo parlato a lungo con il parroco Don Maurizio i parrocchiani e questo ci ha dato modo di capire tanto e anche il valore di una Chiesa. Queste persone hanno vissuto la violenza di vedere demolita la loro chiesa con la ruspa e poi hanno visto rifiore tutto dal nulla».

La chiesa ha una pianta quasi quadrata, ma avvolgente, non crea il distacco tra chi celebre e chi ascolta. Ed è molto luminosa. «Sia la facciata sia il soffitto della chiesa sono ispirate al tema del manto dela Madonna - spiega ancora -, nella facciata questo manto crea uno spazio sul sagrato che permette alla gente di stare lì, anche quando la messa è finita, a parlare, come facevano prima. All'interno invece questo manto che cala dal tetto, ha un'asola centrale che si va aprendo e fa spiovere la luce dall'alto fino ad vere la massima ampiezza e quindi illuminare pienamente la zona».

«È un gioiellino questa chiesa - mi dice infine Igor -, che sta contribuendo alla riqualificazione della zona. Una cosa chiama l'altra e da questa chissà cos'altro di bello arriverà. Qualcuno mi ha premiato, io ora, con questo gruppo straordinario, sto "costruendo" una chiesa, un regalo che mi fa Dio, e mi fa la vita».

La chiesa sarà pronta tra un paio di mesi. Un regalo per tutti, per chi crede e anche per chi non crede, perchè ogni luogo che riprende vita, la trasmette e la dona a chi lo guarda.
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