STORIA E TRADIZIONI
Altro che soldi, anticamente i risarcimenti erano "colossali": i Greci di Sicilia e il Tempio
Terminata la battaglia, le richieste che vennero fatte ai vinti, possono essere sintetizzare in due imposizioni. Ve le raccontiamo, non si sa mai qualcuno voglia prendere spunto
Resti del Tempio di Himera, noto anche come Tempio della Vittoria
A quel tempo la colonia di Himera era nel suo massimo splendore e non dovette essere difficile comprendere quali fossero le mire espansionistiche della potente Agrigento, determinata ad avanzare il suo dominio fino alle coste del Tirreno.
Tutto questo impensierì il despota di Himera, Terillo, che dopo essere stato cacciato dalla città, chiese manforte ad Anassilao, tiranno di Reggio. Quest'ultimo, conscio dell'egemonia militare di Agrigento, rispetto alla modesta milizia da lui comandata, si rivolse ai cartaginesi per un sostegno nelle operazioni di guerra. Gli africani, intenzionati a conquistare nuove terre, senza indugio accolsero la richiesta di supporto.
Dopo aver sbarcato in Sicilia, a Panormo, le cronache riferiscono che la traversata in mare avvenne con molte difficoltà (una tempesta in mare fece perdere tutta la cavalleria e i carri da guerra), i cartaginesi marciarono verso levante con il proposito di espugnare la colonia di Himera.
Considerato che lo scontro era inevitabile, il signore di Agrigento Terone, si coalizzò con il potente tiranno di Siragusa, Gelone, fondando un'intesa militare senza precedenti. Le più influenti città greche dell'isola si erano divise in due prime linee, a settentrione: Terillo e Anassilao, a meridione Terone e Gelone. Ne conseguì un insolito legame familiare dei quattro tiranni, sia Terillo che Terone erano suoceri rispettivamente di Anassilao e di Gelone.
Il primo sposò Cidippe, il secondo Damarete. Cartagine assegnò il comando militare ad Amilcare; così giunto in prossimità del fiume Torto, dispose i suoi uomini nelle vicinanze delle mura difensive del centro abitato, mentre quello che era rimasto della flotta si posizionò in prossimità della riva.
Lo scontro tra le due milizie avvenne sul versante del fiume Torto. A vincere il conflitto fu la confederazione greca comandata da Gelone, che usufruì del supporto anche dell'esercito imerese. Terminata la battaglia, le richieste fatte ai vinti e stipulate nel "trattato di pace", possono essere sintetizzare in due imposizioni.
La prima consistette nella costruzione di due templi in stile dorico, secondo la tradizione di quel tempo. Uno di questi fu eretto a Himera, denominato, in seguito, il tempio della Vittoria; l'altro, di dimensioni maggiori, a Siracusa, probabilmente dove oggi sorge la Cattedrale nel cuore di Ortigia. Le colonne del tempio di quest’ultimo si possono facilmente notare nei muri perimetrali dell'edificio. La seconda clausola del trattato di pace, sempre secondo quanto riferito dagli storici antichi, fu quella di pretendere un risarcimento in monete d'argento per i danni procurati dalla guerra.
Nel trattato di pace c’è anche un’altra imposizione forse quella che ancora oggi fa discutere gli studiosi, che fu quella di “imporre ai barbari di non compiere più i sacrifici umani nei loro riti religiosi”. Così come accade nei momenti più delicati della storia, le donne, che in passato non hanno mai avuto un ruolo di primo piano nelle guerre tra i popoli, riescono a cambiare il corso della stessa, attraverso la messa in opera di strategie degne del miglior comandante.
Sembrerebbe che quest'ultima peculiare clausola, garante del diritto alla vita, fu suggerita da Damarete, moglie di Gelone, che gli procurò un effetto trionfalistico di primo piano in tutte le terre. Stranamente di questa “particolare” clausola non fanno alcun riferimento né Erodoto, accreditato a riferire sulle cronache di quel tempo, né tantomeno Tucidide e Diodoro Siculo. La prima notizia sull’argomento è riportata in uno scolio della Pitica II di Pindaro dedicata a Ierone, in cui si legge che Teofrastro di Ereso era a conoscenza di questa “inedita” clausola del trattato di pace.
L'edificio sacro, costruito a Himera nel 480 a.C., per molti studiosi è dedicato alla dea della Sapienza, ipotesi da ritenersi valida considerato che queste terre erano state consacrate proprio a lei. Il piano di calpestio del tempio si raggiunge attraverso 4 gradini, ed è stato realizzato in stile dorico con sei colonne sulla fronte e quattordici sui lati lunghi. Per tutto il perimetro vennero realizzate delle grondai a forma di testa di leone oggi custodite al Museo Pirro Marconi ad Himera, al Museo Civico di Termini Imerese e infine presso il Museo Archeologico di Palermo.
Questo edificio religioso doveva essere, senza alcun dubbio, tra i più decorati che i greci di Sicilia realizzarono in quel periodo. A tal proposito Rosario Carta, nel 1931 sotto la direzione dell’archeologo Pirro Marconi, realizzò una ricostruzione grafica di una grondaia leonina con i colori originari, oggi purtroppo andati perduti per effetto del processo di ossidazione.
Purtroppo, nel 409 a.C. la città di Himera venne rasa al suolo dai cartaginesi, questa volta al comando di Annibale (nipote di Amilcare), che iniziò una nuova guerra contro le colonie greche, stavolta con maggiore fortuna.
Molte delle poleis delle coste settentrionali e meridionali della Sicilia vennero devastate, fra cui Himera e il tempio dedicato ad Athena. L'avvenimento pose fine alla storia della città, appena duecentotrentanove anni dopo la sua fondazione
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