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Alzi la mano chi conosce "ripiglino": antichi giochi del dopo pranzo domenicale (in Sicilia)

Il primo libro conosciuto sull'argomento (proprio così!) è "String Figures and How to Make Them" di Caroline Furness Jayne, 1873. Un gioco che continua a interessare anche gli antropologi

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 31 marzo 2022

Dettaglio opera Presenze Riflesse, progetto "ripiglino" per ArteFiera 2010

Il pranzo della domenica in Sicilia inizia sempre il sabato pomeriggio. Per fare un sugo di maiale come vuole il Signore ci vogliono salsiccia di maiale al finocchietto, pittinicchi (guai a chiamarle costolette) e la cotenna. "Possibilmente" si ricorda al macellaio per l'ennesima volta "non dico la ceretta ma magari un colpo di rasoio per togliere i peli alla cotenna glielo da? Sa, u pilo è bello, ma no na pasta..." (Questa del pelo se non siete siciliani fate finta di non averla letta o ve la fate spiegare).

E così ha inizio la santa liturgia. Nonna che come mago Merlino arrimina (mescola) il cadavere del maiale contenuto dentro il pentolone, zio Filippo che è uscito a comprare il pane ed è scomparso tipo Houdini, zia Agata e zia Carmela che, dopo una settimana di sparlate assassine, si scambiano segni di pace perché è domenica e lo ha detto il Papa; poi c'è zio Nino che poveretto fissa con una lacrima di commozione la collezione di quadri con le 500 lire che gli avevano promesso i nonni in eredità, ma purtroppo è entrato l'euro e suoi sogni di arricchire sono svaniti. Infine, in fondo alla stanza, ci stanno una foto di Gesù e nonno che dorme con la bocca aperta nella poltrona mentre i figli dello zio Nino giocano a fare canestro con le palline di scottex.
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Appena finito il pranzo e il grasso della cotenna ha fatto il suo lavoro e siamo tutti appanzati e contenti, puntualmente arriva il momento più atteso da ogni siciliano che si rispetti: i dolci! Sacrilegio farsi mancare lamata 'nguantera (vassoio) perché a causa di ciò potrebbero sfaldarsi famiglie per sempre o addirittura scapparci il morto. Dunque, bevuto il caffè a 3000° fahrenheit e innalzato l'indice glicemico ai livelli del Down Jones nel marzo 2018, scatta quell'ora a cavallo tra Mara Venier e 90° Minuto talmente depressivo che pure Freud vi avrebbe detto: "si compri due euro di corda, la leghi al pietrone e si vada a buttare a mare".

Proprio quando sembra non esserci più via di scampo, arriva quella santa donna di nonna e, con lo stesso sorriso accennato di Maria Montessori nella banconota delle mille lire, prende il nastro della confezione dei dolci e ti dice: "vieni qua nipote mio, giochiamo a Ripiglino".

Ecco, questo nome esplicativo quanto le istruzioni in cinese della sveglia, è in realtà un gioco che abbiamo fatto tutti, ma tutti tutti! Si può fare con il nastro dei dolci (in Sicilia) o anche con un elastico oppure uno spago; il gioco prevede due partecipanti. Il primo tiene ben fermo lo spago dietro il dorso delle mani e, intersecando le dita con lo spago, comincia a costruire delle figure geometriche fino a che rimane senza soluzioni.

A quel punto interviene il secondo giocatore che usando le dita "ripiglia" lo spago costruendo a sua volta altre figure. A quanto pare le origini del Ripiglino sembrano perdersi nel tempo e perfino gli antropologi si sono spesso interrogati su come questo gioco sia presente in tutte le culture, anche tra quelle che non sono mai venute a contatto tra loro.

Il primo libro conosciuto sull'argomento è "String Figures and How to Make Them" di Caroline Furness Jayne, 1873. Famoso anche il caso dell'esploratore Alfred Wallace che in viaggio di scoperta in Borneo usò questo gioco per cercare di divertire i ragazzi di una tribù indigena.

Con grande sorpresa notò che anche i Dyak (così si chiamava la tribù) conoscevano il gioco. La lista dei luoghi dove si pratica il Ripiglino è pressoché infinita: Europa, Asia, Nuova Guinea, Congo e tante altre. Ripiglino in Italia, culla del gatto nei paesi anglosassoni, gioco della stringa in Russia, rete da pesca presso gli eschimesi (già, pure loro ci giocano).

Oggi purtroppo il ripiglino si vede sempre meno, almeno fino a quando qualcuno non inventerà un app per telefono. Alla fine di tutto, almeno io che ero una chiavica, quasi mai arrivavo ad una soluzione. A casa mia, per esempio, il Ripiglino finiva quando il nonno, dopo un pomeriggio passato ad aver ingoiato le palline di scottex dei figli dello zio Nino, andava in bagno e preoccupato chiamava la nonna gridando: "Lina, ma com'è possibile che mangio dolci e caco tovaglioli!?"
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