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Andare a Lipari è sempre una buona idea: ma non fatevi incantare dall'organo di Eolo

La storia di un viaggio iniziato male e finito peggio ma rallegrato da una nuova scoperta tra mito e realtà. Una vacanza alle Eolie diversa, con un finale inaspettato

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 4 luglio 2022

Isola di Lipari

Hannibal, Scipione, Nerone, Lucy, Caronte, Ciclope, Lucifero, Flegetonte, Minosse, Caligola… . Non è per volere puntualizzare, ma ci sarebbe veramente da beccare quello che dà il nome alle ondate di caldo e rompergli le corna. Non dico di chiamarle Fragola&Panna, Fiorellino o Brioche col tuppo, ma che il ragazzo in questione sia figghio di sua matre la cosa è palese.

E così, in una di quelle roventi estati, si decide tutti assieme di alleviare le sofferenze facendo un viaggetto alle Isole Eolie. Bella minchiata!

«Scusate,» domando, «treno, aliscafo, cerca il b&b, trasporta valige, sudore, sali le scale, scendi le scale, sali dalle scogliere, scendi dalle scogliere… ma non lo possiamo alleviare stu cavuro ognuno a casa sua sotto il condizionatore?» Niente, non fu possibile. Lipari bellissima, ah: Il mare, il sole, i fiori, le insalate eoliane, le ustioni di 3° grado, poi però la sera succedeva qualcosa tipo isola della maga Circe e non se ne capiva più niente.
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Dentro i locali della movida, l’uomo, inchiummato di cocktails, reclamava il ruolo di maschio alfa attraverso balli tribali e pugni sul petto alla Tarzan. Le donne, invece, invase dai mascolini feromoni avvertivano le caldane erotiche e invase dal parfum d’amour s’arrampicavano sui tavoli e su tutto ciò che di cubico aveva sembianze per rispondere al richiamo della foresta.

E deve essere stata quella particolare puzza di Odissea, che pure la mia Penelope quella notte sparì tra i cespugli con un re dei proci qualunque per fare ritorno il giorno dopo insieme al carro di Apollo. Insomma, il re dei proci l’aveva incantata con la storia di un organo, chiamato organo di Eolo, in grado di assimilare i venti ed emettere suoni diversi in modo da renderli riconoscibili, e che stava proprio a Lipari.

Lì per lì pensai che se mi avesse inventato la solita fesseria della collezione di farfalle ci avrebbe fatto più figura, poi mi recai personalmente sul luogo del peccato e scoprii che (ahimè) era tutto vero.

E per capire che caspita ci fa a Lipari un organo dei venti e che legame ha Eolo con le isole che portano il suo nome dobbiamo fare un salto indietro. Tutto parte proprio da Eolo, solitamente definito come dio dei venti, anche se non è propriamente la definizione esatta.

Dovete sapere che la storia cambia in base a chi ce l’ha raccontata: per alcuni è un dio, per alcuni era un principe, per altri era una persona normale che diventa divinità. Secondo lo scrittore romano Igino, una donna mortale di nome Melanippe fa all’amore con Poseidone, il dio del mare, e rimane incinta di due gemelli: uno lo chiama Beoto, l’altro Eolo.

Voi ve lo immaginate se vostra figlia torna a casa col test di gravidanza positivo e alla domanda “chi è il padre?” vi risponde: «Il padre è Poseidone!». Questa è un po’ la situazione che deve affrontare il papà di Melanippe.

Ovviamente non le crede manco per la mi%&#, la acceca e la manda in prigione, mentre i figli li abbandona in una montagna. Una vacca li allatta, dei pastori li trovano e li regalano al re Metaponto che non può avere figli perché sterile.
Intanto la moglie Teano si ingelosisce, ordina ai suoi figli di uccidere Eolo e Beoto ma nello scontro muoiono i primi due. I fratelli costretti a partire a causa del crimine fondano rispettivamente Eolide e la Beozia.

Io però preferisco la versione di Diodoro Siculo. Intanto nessuno viene accecato, non ci sta alcuna vacca e il padre di Melanippe, appena scopre che sua figlia ha una tresca con un dio, l’affida ad un povero cristo della città di Metaponto che non solo si accolla la moglie "diofila" ma in più si accolla pure i figli non suoi.

Cresciuti a pane e scanazzo i due fratelli, una volta adulti, partecipano ad una sommossa popolare e diventano i re di questa Metaponto. Purtroppo fanno pure loro na bella minchiata e uccidono la moglie del povero cristo che se li è accollati e li ha pure cresciuti.

Anche in questa versione i due fratelli sono costretti a scappare, Beoto in Beozia e Eolo a Lipari. E chi poteva essere il re di Lipari se il re di Metaponto era Metaponto? Naturalmente solo Liparo, che, niente niente, era nipote di Ulisse.

Insomma, a dire la verità Liparo non era poi così contento di fare il re di Lipari: Sempre le stesse persone, sempre gli stessi posti, non succedeva mai niente, che barba, che noia, che noia, che barba.

E poi a Liparo gli piaceva Sorrento, la calamarata e le canzoni di Peppino di Capri. E così, prendendo l’Eolo al balzo, propone allo scappato di casa di diventare re di Lipari e di prendere in sposa sua figlia Ciane; in questo modo lui si sarebbe vissuto la pensione fresco come un quarto di pollo a Sorrento.

Da questo punto in poi il mito prende strade diverse in base alle tifoserie. Sempre Diodoro Siculo ci racconta che Eolo conquistò la fama di dio dei venti perché forse era un antenato di Giuliacci e leggendo i vapori emanati dal vulcano Stromboli riusciva a prevederli, altri dicono che fece simpatia a Zeus che gli regalò un otre in grado di contenere i venti.

Quello che invece sappiamo per certo è che a un certo punto, nel 1700 inoltrato, il pittore francese Jean-Pierre Louis Laurent Houël e il viaggiatore Michel-Jean Borch si trovano a Lipari nella contrada Piano Greca, al cospetto dell’Organo di Eolo, ed entrambi capiscono che probabilmente si tratta di una minuscola sala termale che, per posizione e costruzione, è in grado di incamerare venti e trasformarli in suoni.

Proprio Borch ci dice «Abbiamo trovato dopo un po’ un monumento assai singolare: è una specie di organo costruito metà in mattoni e metà in pietra, è in un pianoro sopra un piccolo rilievo di fronte a tre montagne tra le quali trovano spazio ben tre diversi venti, che vengono quindi a soffiare su questo strumento… .

Al centro c’è una cassa in muratura sostenuta da quattro pilastri di basalto da ogni lato, dentro l’incastro di muratura si trovano dei tubi quadrati di terracotta che formano una specie di cassa d’organo. Questi tubi sono forati a distanza regolare, e rivestiti di grandi pietre basaltiche che li bloccano.

Ogni volta che il vento soffia sulle facce laterali di questa cassa, si incanala per i fori nella cavità dei tubi e produce dei rombi più o meno forti. Nessun autore parla di questo monumento, apparentemente sconosciuto».

Oggi di tale monumento rimane poco, e menomale perché già a me è capitato quello che è capitato ai giorni nostri, non oso immaginare che capitò con le zite a Houël e Borch quando l’Organo era integro e soprattutto "eretto".
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