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Angelina, la "bella mummia" di Catania: il suo spettro infesta il castello da cui si gettò

Morta suicida dopo un’infelice storia d’amore, il corpo di Angelina - magnificamente conservato - è una testimonianza preziosa delle tecniche di imbalsamazione del Novecento

  • 2 maggio 2021

La mummia di Angelina

Più che una pratica di mera conservazione del corpo, l’imbalsamazione era un vero e proprio rito religioso per la riappropriazione del corpo da parte del defunto nell’Aldilà.

Ebbe origine in Egitto, intorno al 4000 a.C., avvolgendo il corpo morto in tessuti specifici dopo un trattamento a base di oli, resine e unguenti.

Nei casi in cui ancora oggi è praticata, per fini scientifici o di conoscenza, l’imbalsamazione avviene attraverso la somministrazione di arsenico e di formaldeide, le cui proprietà chimiche arrestano il processo di decomposizione.

Per coloro i quali nutrono forme di curiosità macabra, in una cappella gentilizia del cimitero di Catania si trova una mummia risalente al 1911.

È una povera ragazza, che alcuni chiamano “la bella addormentata”, morta suicida dopo un’infelice storia d’amore, il cui corpo magnificamente conservato è una testimonianza preziosissima delle tecniche di imbalsamazione ancora in uso nel secolo scorso.
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Ma non è solo la sua compostezza funerea a destare stupore, quanto il racconto della sua vita che si assume a metafora esemplare dell’antica condizione della donna in Sicilia.

Angelina Mioccio, figlia di una ricca famiglia catanese di origini ebraiche, aveva vissuto la sua infanzia negli agi e nel lusso, riparata dal padre che la adorava. Giunta all’età da marito, contro il proprio volere - com’era in passato consuetudine - fu promessa in sposa a un ricco avvocato.

I sentimenti di Angelina, laddove non battevano per l’uomo che la famiglia scelse, ardevano per il giovane Alfio, un lontano cugino di bassa estrazione sociale, che ne ricambiava gli sguardi e i desideri.

A umile servizio presso il padre di Angelina, Alfio non confessò mai l’amore per la figlia; avrebbe dovuto chiederla in moglie, ma la paura di perdere il lavoro lo costrinse a un silenzio che avrebbe rimpianto per il resto della vita.

Sottratta la via dell’amore, non accettando di farsi sposa a un uomo che le era estraneo, Angelina decise di suicidarsi, piuttosto che barattare i propri sentimenti ai termini di un ignobile contratto di matrimonio.

Dalla sua residenza nel castello di Leucatia, che il padre stava facendo costruire quale dono di nozze alla figlia, Angelina pose fine ai suoi giorni lanciandosi nel vuoto.

Quel corpo che lei fece di tutto per lasciare, finì per non trovare pace; di più, lo riebbe come una condanna, conservando il suo sguardo attonito e infelice contro gli inciampi della memoria, avvolta dal capo mortuario di un abito nuziale, affinché la sua bellezza fosse ammirata ancora: un gesto estremo di tenerezza che somiglia più a una tragica beffa.

Il corpo di Angelina – perfettamente imbalsamato - sarà sepolto in una grande cappella del cimitero monumentale di Catania, esposto dietro una teca di vetro, suscitando il grande interesse dell’opinione pubblica, in anni più recenti, grazie alle cure di un visitatore ossessivo e monomaniacale.

Fino a pochi anni fa, cioè prima che venisse murata e dichiarata inagibile a causa di un possibile crollo, la cappella versava in uno stato di miseria e di disfacimento, tralasciata dai legittimi eredi. L’incuria fu occasione di alcuni furti che si verificarono sottraendo preziosi oggetti conservati nella teca posta dietro il corpo di Angelina, e la sua stessa salma rischiò di andare perduta.

Fu allora che uno strano uomo, che sosteneva di aver veduto in sogno la giovane morta, prese a visitarla giorno dopo giorno, pulendo la cappella e riempiendola di bambole e fiori, come in una lugubre sequenza da film dell’orrore.

In coma dopo un incidente d’auto, l’uomo avrebbe avuto un colloquio onirico con Angelina che gli chiedeva di portarle un fiore; e i sogni si sarebbero fatti più frequenti, con richieste sempre più deliranti: essere cambiata d’abito, e tenere il vestito da sposa accanto a lei nella bara.

Pare che lui le accarezzasse il viso, muto in un rapporto che solo per lui aveva un qualche significato. Violati i normali principi d’igiene e di sicurezza, e per porre fine a questo macabro rituale, la direzione del cimitero pensò di sigillare tutto, intanto che veniva aperta un’inchiesta della magistratura.

Da lì, Angelina ha finito per diventare una sorta di simbolo, testimoniando una lunga stagione di patriarcato siciliano e un impressionante risultato di imbalsamazione, che meriterebbe una sorte migliore di quella triste vita che la sua dolente postura restituisce, con un sito adeguato che ne salvaguardi le spoglie e le tuteli convenientemente, magari in un museo, senza esporla in un cimitero, cioè in un luogo in cui la pietà cristiana impone che le salme non siano visibili.

Si dice che lo spettro di Angelina infesti il castello dalla cui torre si gettò per darsi la morte, ma il sospetto in questo caso non può farsi prova.

Però il suo corpo esiste ancora, chiuso in una cella murata, prigioniera di se stessa mentre stringe fra le mani alcuni oggetti avuti in dono insieme a una foto, poggiata accanto al suo volto lattescente, che la ritrae nella sua antica e triste bellezza di sposa defunta.
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