LE STORIE DI IERI

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Gennaio 1987: paure e storie d’ordinaria disumanità

  • 5 febbraio 2007

Nel freddissimo gennaio del 1987 non furono poche “le storie” che sgomentarono i palermitani. Anzitutto, quelle davvero terrorizzanti relative alle prime tre vittime fatte dalla “nuova peste del secolo”. Precedute, solo di qualche giorno, dalla ricomparsa in città dal fantasma della leishmaniosi, malattia forse non meno temibile, ma che si riteneva debellata negli anni Cinquanta. “Storie” infine oscurate, ma solo per qualche giorno, dal “caso del vecchio dei gerani”, inspiegabilmente scomparso al Borgo Vecchio. Ed è perciò che, procedendo per ordine cronologico, vogliamo qui ricordare che la tragica notizia del terzo palermitano ucciso dal virus Hiv era stata preceduta dalla morte del tutto imprevedibile di una ventiduenne che aveva perso la vita per essere stata punta da uno dei flebotomi di Leishman che erano sopravvissuti in qualche ristagno residuo della palude che un tempo circondava Mondello. Ancora, evidentemente l’habitat più idoneo allo sviluppo della zanzara che trasmetteva e ancora trasmette il protozoo dei quale sono portatori sani i cani. Ma non solo quelli randagi, cui alcuni sconsiderati allora decisero di dare caccia insensata. Senza sapere che la malattia poteva essere veicolata anche dai ratti che infestavano la città-pattumiera, sommersa dai rifiuti e contro i quali veniva mobilitato anche l’Esercito.

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Nè a quel tempo era peraltro risaputo che uno degli aspetti più preoccupanti della leishmaniosi continuava ad essere, nel resto del mondo, la sua tendenza a colpire soprattutto le persone con depressione immunitaria dovuta proprio all’infezione da virus Hiv. Appunto l’altro terribile male dal quale in quel gennaio, gelido non solo climaticamente, qui si sapevano ufficialmente affetti sedici giovani. Flagello le cui conseguenze in quei giorni furono emblematicamente rappresentate dalla vicenda di un ragazzo tossicodipendente che a torto o a ragione era stato ritenuto anche malato di Aids. Il ventiduenne Sergio Curreri che passava le notti sui cartoni stesi sopra una panchina di Villa Sofia, dove i sanitari andavano a curarlo all’aperto e dove alcuni ricoverati di buon cuore gli facevano arrivare la parte del cibo che essi non riuscivano a mangiare. Un caso di cronaca che provvisoriamente si concluse con un ricovero non superiore ai quindici giorni all’Ospedale per le malattie infettive della Guadagna. Mentre il buon cuore di molti altri palermitani tornò a rivelarsi nella gara di solidarietà svoltasi in particolare nel quartiere Oreto, dove venne segnalato un monovano non utilizzato e a disposizione di un non meglio identificato istituto per la bonifica edilizia. Un riparo finalmente dignitoso che altri si offersero di arredare a proprie spese. Poi, sulla storia dello sfortunato ragazzo calò quel silenzio improvviso che, anche a distanza di vent’anni, ci pare possa restare ugualmente e significativamente clamoroso. Ma d’altra parte gli eventi di cronaca che seguirono a quel caso ebbero necessariamente il sopravvento.

Perché quel gennaio del 1987 fu anche il mese in cui scoppiarono le diatribe sui presunti “carrieristi dell’antimafia”, aperte dal noto articolo di Leonardo Sciascia pubblicato dal Corriere della Sera. Il mese in cui Renato Guttuso smise di intingere pennelli nel sole della sua Isola. Ma anche quello in cui si risolse in maniera sicuramente struggente un presunto caso di lupara bianca. Del quale, dapprima e inspiegabilmente, fu protagonista ancora un emarginato. Che intorno alla sua ultima vicenda terrena, al contrario degli infelici precedenti, calore umano non ne senti affatto. E fu il caso dell’ottantenne Carmelo Sancarlo che viveva in una casupola di latta e cartone, a pochi passi dalla congestionata via Francesco Crispi, il cui corpo lo avevano stranamente trovato nei gironi infernali della discarica di Bellolampo. Anch’esso un avvenimento che ebbe la debita risonanza sulla stampa cittadina, ma solo per tutti i giorni in cui si cercò di identificare lo scomparso ritenuto una vittima di mafia. Poi, pure il clamore destato da quel caso si attenuò e si dissolse dentro una “storia” di ordinaria disumanità. Perché si accertò, senza ombra di dubbio, che l’innocuo vecchietto era morto di stenti nel corso di un’altra gelida notte palermitana. E che il suo corpo era rimasto qualche ora riverso in un vicolo, poco lontano dai gerani rossi che lui coltivava attorno alla casupola del Borgo Vecchio. Finché qualcuno non lo aveva “composto”, senza nemmeno uno dei suoi amati fiori, in un cassonetto della spazzatura.

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