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La “Real Casa de’ Matti” che piacque a Dumas

  • 16 maggio 2005

“Il nuovo metodo di guarire i pazzi, da me per la prima volta introdotto nella Reale Casa de’ Matti, è assai difficile a comprendere, difficilissimo a praticare. Ciascun uomo sensibile, umano e di tenero cuore troverà dentro se stesso i principi dai quali derivano le basi del cennato metodo. Questi principi sono la pietà, la compassione, la carità, la commiserazione e, quel che più vale, l’innata tendenza ad amare i suoi simili.” Era in base a tale encomiabile ordine di idee che a Palermo, nel 1835 e da diversi anni, il barone Pietro Pisani gestiva quello che fu il primo ospedale psichiatrico della città. Ubicato in un ex convento di Teresiane, oggi in fondo alla via che del colto aristocratico porta il nome. Manicomio tanto progredito da venire citato da Alessandro Dumas nel “Conte di Montecristo” e da essere ricordato da Michele Palmieri di Miccichè come “il più avanzato d’Europa nel Paese più arretrato d’Europa”. E tutto questo a buon diritto ove si pensi che prima di essere assistiti in quell’edificio i matti di Palermo e provincia sopravvivevano in orribile promiscuità con i tisici e con ogni genere di malati contagiosi nell’antico nosocomio di San Giovanni dei Lebbrosi. Il temuto “Santu Giuvanni” nel quale finivano inevitabilmente quanti costituissero un sia pur minimo pericolo, o comunque un’anomalia da emarginare, per i palermitani cosiddetti sani del Settecento.

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Il barone Pisani quella Casa cominciò a organizzarla nel 1824. E lo fece con criteri assolutamente impensabili per il tempo. Al punto che il suo trattamento morale della follia comprese il moderno concetto della “ergoterapia” che già allora prevedeva i malati di mente impegnati in attività manuali che li distraessero dalle ossessioni del loro male, ingenerando in essi l’idea di potere essere utili agli altri. Non a caso buona parte delle strutture di quell’ospedale – compresi un panificio, la lavanderia e gli orti ben coltivati - fu realizzata dagli stessi pazienti che prima di finirvi ricoverati erano stati muratori, carpentieri, falegnami, contadini e artigiani d’ogni genere. E fu in una originale “Guida alla Real Casa de’ Matti Scritta da un Frenetico nella sua Convalescenza” – con le parole d’uno struggente Roberto non meglio identificato - che Pisani fece sì che negli ambienti medici del tempo si venisse a sapere della sua istituzione. Dove, prima che lo uccidesse il colera del 1837, egli stesso visse lungamente giorno e notte. Solidarizzando con i malati al punto da firmare la sua corrispondenza come “Il primo pazzo della Sicilia”.

Oggi di quell’ospedale resta un edificio d’aspetto austero, che tra l’altro servì fino a qualche anno fa da carcere militare, davanti al quale innumerevoli palermitani passano senza alzare gli occhi verso alcuni particolari tuttavia leggibili. Come il lungo affresco di Antonio Riolo che rappresenta la Ragione che restituisce i suoi doni ai matti. Malati amati e ben vestiti dal barone che volle l’edificio corredato pure da un orologio e da una meridiana sotto ai quali curiose scritte denunciano con evidenza il mondo di sofferenza umana che l’ex convento accolse. Sicuramente con successo in diversi casi. Perché se nel reale borbonico manicomio gli ammalati continuarono ad essere suddivisi in “maniaci, dementi, malinconici e idioti”, è altrettanto vero che Pietro Pisani riuscì a crearvi un reparto molto particolare e di buon auspicio. Giusto il Reparto di convalescenza. Dal quale sarebbe uscito anche l’amabile Roberto. E poco importa se con le scarpe e sotto il cappotto del suo illuminato guaritore.

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