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Le anime sante dei corpi decollati

  • 4 giugno 2005

Le miracolose anime sante dei corpi decollati, a Palermo vagarono per secoli nei quartieri dove la giustizia ingiusta delle signorie straniere innalzò patiboli di forca e di mannaia. Poi , senza smettere d’essere presenti dovunque un pericolo minacciasse i loro devoti, quei geni occulti del bene - li definì così Giuseppe Pitrè - trovarono una loro casa d’elezione sulle sponde dell’Oreto . Nella chiesetta che prima del 1785 era già dedicata ad una pietosa Madonna del Fiume la quale, nell’immaginario collettivo, non mancava nemmeno di intercedere presso il Figlio a vantaggio delle anime che “incolpevoli” erano state innalzate agli altari. Per voto popolare e dopo aver lasciato i loro corpi nelle tre fosse comuni intorno al mistico luogo.
Adesso di quel piccolo tempio restano poche tracce. Significative, tuttavia, a saperle riconoscere e interpretare. Come è il caso del cippo anonimo che, all’inizio del ponte di Corso dei Mille, non manca mai di fiori e perfino dei bouquet delle spose del quartiere. Segno d’una antica consuetudine confermata dagli anziani coniugi che il due novembre scorso abbiamo visto sistemarvi in un vaso di pietra e in quello improvvisato con una bottiglia di plastica tagliata a metà ( vedi foto accanto) il loro omaggio floreale per grazia ricevuta.

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E in tal senso sono significativi i residui “ex voto” d’argento che si trovano in una cappella della moderna, e forse un poco incongrua, neogotica parrocchia che nella vicina via del Decollati ha preso il posto del modesto tempio mariano. Una cappella particolare che – sotto alla oleografia di un eloquente martirio di San Giovanni – accoglie ancora i resti dei santi uomini e degli ingiustamente presunti peccatori che fino al periodo borbonico vi furono confusi. Non a caso il cattedratico Pietro Merenda, nel 1910, tornò a cercare sul posto le spoglie delle tredici vittime della repressione borbonica del 1860 che egli suppose sepolte accanto a quelle dei sacerdoti Bonaventura Calabrò e Giuseppe La Villa “moschettati” dalle stesse truppe nel 1822.
Mentre non resta sicuramente traccia della lapide alla quale, fino ai primi anni del secolo scorso, poggiavano l’orecchio le pie donne che ogni lunedì nella chiesa si recavano scalze, dopo essere partite in corteo dalla via Lincoln, proprio dal punto in cui si apriva l’altrettanto scomparsa porta di Termini. “Ed aspettavano tremanti” – scrive ancora Pitrè – “la risposta alle loro preghiere, mentre il più lieve rumore faceva loro sapere che erano state favorevolmente accolte”.
Ma capitava pure che di quel pellegrinaggio non ci fosse nemmeno bisogno. Perché, per quanti disponevano della fede necessaria, era certo che le benevole anime dei corpi decollati non esitavano a recarsi, debitamente invitate, a render visita agli ammalati più gravi nelle loro stesse abitazioni. Dove, nel silenzio della notte e al termine di opportune novene, si ricavavano responsi favorevoli dal canto anticipato di un gallo o dall’eco d’una lontana canzone. A meno che non si fosse udito il pianto d’un bambino o, peggio ancora, il verso stridulo del barbagianni.

In quel caso era meglio che i devoti si mettessero l’anima in pace. Per una volta la grazia invocata non ci sarebbe stata e il favore chiesto alle arcane presenze nobilitate dal martirio non sarebbe stato accordato. Ciò che tuttavia non riusciva mai a privare la nostra brava gente della speranza o della convinzione di poter contare su un personale buon ladrone anche tra i santi del paradiso.

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