STORIA E TRADIZIONI
C'è "a pirullè", "missinisi" e "supra 'a ciaramedda": il rito che fa tremare la Sicilia
In tutta l'isola non era un semplice pretesto di incontro, ma uno strumento sociale in cui il corpo smette di essere singolo e diventa collettività. Ve lo raccontiamo

Una danza popolare diffusa nelle zone rurali dell’Isola, specialmente quelle montane come i peloritani (monti della Sicilia nord orientale) in cui la danza non era un semplice pretesto di incontro, ma uno strumento sociale in cui il corpo smette di essere singolo e diventa collettività.
Proprio la sua forma corale e coreutica la deve alla tradizione agro-pastorale. Infatti, questa danza era molto diffusa durante le feste comunitarie: matrimoni o eventi religiosi.
Le celebrazioni erano il momento ideale per socializzare ed esprimere con la danza sentimenti di gioia e liberazione. E lo si faceva in coppia - tra un passo scivolato e un saltello - alternata a quelle presenti all’interno di un cerchio.
Ogni passo era accompagnato da strumenti della tradizione come le ciaramedde (zampogne), il tamburello, il marranzano, il friscalettu (flautino) e l'organetto.
Di questa danza ne esistono diverse versioni, fra cui il ballittu a pirullè tipico dell’entroterra palermitano, il ballittu missinisi e supra 'a ciaramedda.
Il primo, variante della tarantella, testimoniato dal professore Giuseppe Michele Gala che ha svolto una ricerca etnocoreutica di 35 anni sulle danze tradizionali siciliane.
Il nome particolare è dovuto a movimenti più "girati" eseguiti da coppie miste. Il secondo prende il nome dallo strumento che accompagna i passi di chi danza, la ciaramedda o zampogna. Mietitura e vendemmia erano le festività agricole dove si poteva assistere e partecipare alle danze.
Le testimonianze sul ballittu sono poche e le abbiamo anche grazie all’etnografo Giuseppe Pitrè nella sua Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane.
Anche se il nome ballittu pare non sia citato, è probabile che esistesse qualche riferimento a questa danza tradizionale. A dare il contributo alla ricerca del ballo è pure Benedetto Rubino, studioso e farmacista originario di San Fratello (ME), che nel 1924 pubblica “Usi e costumi, novelle e poesie del popolo siciliano”.
Oggi, il ballittu è quasi in via d’estinzione. Sopravvive grazie a pochi anziani, gruppi folkloristici, ricercatori e associazioni che organizzano eventi per insegnare questa danza e far sì che non venga dimenticata.
Un patrimonio culturale che, dunque, richiede evocazione continua: “A volte - dice Viola Centi, danzatrice, danzaterapeuta, attrice e operatrice di teatro sociale, laureata in Arti Performative - si considerano le tradizioni come pietre immobili, anziché come fuochi da alimentare.
Non sono reliquie di cera, né statue da adorare, bensì semi vivi che fioriscono solo se affidati a mani, voci e corpi sapienti che con rispetto possono tramandarle, conservando il ricordo e sapendo cosa c'è stato prima”.
Lo studio diventa così tramite della memoria, come quello di cui si occupano associazioni e compagnie del tipo “Unavantaluna che organizza eventi e stage per insegnare questa danza tradizionale, contribuendo alla sua diffusione anche fuori dalla Sicilia.
Esistono anche workshop e stage dedicati alla danza tradizionale siciliana, come quelli condotti dalla ricercatrice Margherita Badalà.
Ogni rito, ogni danza, ogni parola custodita è un ponte gettato tra ciò che siamo stati e ciò che possiamo diventare, per questo la memoria è viva solo se accetta di mutare”.
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