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Calvi, pelati, ma a Palermo saranno sempre "tignusi": storie di tigna, filosofi e sex symbol

“Minchia, Bruce Willis è più figo rasato che quando aveva i capelli!”, questa frase ripetuta dalle donne fu la rivalsa di tutti i tignusi del mondo (con tutto il rispetto per la malattia, manco a dirlo)

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 4 maggio 2022

Bruce Willis in Pulp Fiction

Anni '80. La tredicenne Vic Berreton (interpretata dalla bellissima Sophie Marceau) fa innamorare il mondo del suo caschetto alla francese, portato alla ribalta dal film cult “La Boum” - tradotto “La Festa”- passato per qualche motivo alla storia (solo in Italia) con il titolo di “Il tempo delle mele”. Indimenticabile la scena del tenebroso Mathieu che quatto quatto poggia le cuffie di un preistorico walkman sulle orecchie di Vic, facendo partire quel “Drimm tananà fantasì” che diventerà obbligatorio come il cacio sui maccheroni ogni volta che due si baciano.

Sempre anni '80, tutte le sale da barba -oggi conosciute come coiffeur da uomo, ma al tempo note solo e soltanto come “u vaibbiari”, cioè il barbiere- erano tappezzate di poster di un altro caschetto (dorato però) che, vantando un abbigliamento semplice a base di “nu jeans e na maglietta”, faceva battere il cuore delle teenager in profumo di fuitina con uno slogan che faceva pressappoco “Tu qundici anne, ma sei già donna. M'ha fatto 'nnammura' quell’aria da bambina che tu hai”.
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La domanda è: come dovevano sentirsi di fronte allo scugnizzo di Napoli, all’Apollo di San Pietro Patierno, al Jim Morrison della psichedelia napoletana, i poveri calvi, pelati o peggio ancora (perché così si dice a Palermo) i tignusi?

Da una parte la bellezza “Achillica” denotata da un caschetto biondo ad ali di gabbiano che faceva impazzire tutte le donne, dall’altra i pelati, sulla quale non ha pesato soltanto la severa mano di Dio e dell’ereditarietà, ma ci si è messo anche il folclore che ha calcato ancor più la mano affibbiando loro il nome di una malattia.

Eh già, perché pochissimi sanno invece che la “tigna” è una (così la definisce l’enciclopedia medica) “Malattia contagiosa parassitaria della pelle, per lo più localizzata nel cuoio capelluto, causata da funghi ifomiceti”.

La tigna era infatti nel XIX sec. una delle più comuni infezioni fungine tra i bambini, e che durò fino ai primi anni '60 del 900. Famoso “l’affare della tigna”, che non è il titolo di un film, ma un trattamento della tinea capitis attraverso radiazioni ionizzanti, proposto per la prima volta nel 1903 fino al 1959. Si stima che in questo lasso di tempo circa 200.000 bambini siano stati sottoposti a questo trattamento.

Quindi tignuso da tigna, dalla quale poi deriverebbe intignare, ovvero guastarsi, come per esempio si usava dire per il grano infestato dai parassiti (se i palermitani al sound di questo verbo hanno pensato a qualche vastasata, sappiate che siete sempre i soliti).

Per fortuna ci pensa Quentin Tarantino a dare di nuovo dignità ad un genere mascolino che invece aveva tutto il suo sex appeal da sfoderare. E che ci trase Tarantino, direte voi? Ci trase, ci trase… Nel 1994 esce nelle sale cinematografiche l’altro capolavoro cult Pulp Fiction. È proprio durante le riprese di questo film che Bruce Willis, interpretando il pugile Butch Coolidge, per darsi un aspetto più giovanile e fresco, decide di radersi a zero.

“Minchia, Bruce Willis è più figo rasato che quando aveva i capelli!”, appena le donne cominciano a ripetere quest’altro slogan tutti i tignusi del mondo escono di casa fieri di sfoggiare quella fronte ad unica campata che conferisce loro saggezza e anche virilità: perfino chi negli anni '80 portava il caschetto dorato corre a rasarsi per piacere alla femmina e incarnare questo nuovo status della mascolinità.

D’altronde non è proprio tutta colpa dei siciliani e della sale da barba se la testa calva è stata demonizzata. È in realtà da tempi antichissimi, addirittura dall’Antica Grecia e dalla Bibbia, che la caduta dei capelli è associata a divinità maligne, malocchio o ad un comportamento negativo nei confronti di Dio: basti pensare al Sansone di Dalila che quando era capellone era dotato di forza straordinaria, quando invece gli venivano tagliati i capelli nemmeno riusciva a salire la bombola al piano ammezzato.

Di parere contrario invece Sinesio di Cirene, un filoso greco che visse tra il 300 e il 400 d.C. e che scrisse un elogio alle calvizie. Secondo Sinesio, infatti, le cose pelose erano da attribuirsi a bestie, agli adulteri e a gente poco raccomandabile. “Guadate i filosofi che sanno tutte cose - diceva ancora Sinesio - sono sempre rappresentati pelati”.

C’è da dire che Sinesio era un po’ di parte perché era tignuso. Un altro personaggio illustre, però, a causa della sua tigna in Sicilia ci venne a morire. Si tratta di Eschilio, che detto così sembra pure lui il nome di una malattia, ma invece era uno dei più grandi drammaturghi dell’Antica Grecia; tant’è che insieme a Sofocle ed Euripide è considerato uno dei padri della tragedia greca.

Accusato di empietà (cioè era un religioso poco religioso) viene un giorno esiliato in Sicilia. E una bella mattina del 456 a.C., mentre si faceva una bella passeggiata per le campagne di Gela, un'aquila che teneva una tartaruga tra gli artigli scambiò la sua bella tigna lucente per un pietrone e gliela lasciò cadere addosso nel tentativo di spaccarla.

La prossima volta che fate una gita fuori porta e vi si dice di coprirvi, copritevi. Eschilo morì in tragedia e smise di scrivere tragedie.
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