MISTERI E LEGGENDE
Come il gatto e la volpe in versione siciliana: ecco le regole per essere dei veri compari
Il "comparatico" è una forma di legame particolarmente stretta e legata al culto di San Giovanni che si festeggia il 24 giugno: ecco le regole e i valori della tradizione
Il dipinto del Masaccio "Martirio di San Giovanni Battista" (foto Wiki)
Il 24 giugno si festeggia la natività di San Giovanni Battista. Questa festività un tempo era molto importante per i siciliani perché si identificava con il "comparatico". Essere compari significava stringere un patto in nome di San Giovanni Battista, che si credeva fosse il Santo più potente. Era la parentela spirituale più alta e importante.
Per i criminali e malfattori, inoltre, questo connubio raggiungeva i più alti valori cavallereschi, significava fiducia cieca e fedeltà incondizionata, tanto da essere addirittura disposti a morire o farsi incarcerare pur di aiutare il compare.
Ancora oggi, il comparatico si può “stringere” in tre modi: facendo da testimoni alle nozze di amici o parenti; in questo caso si è cumpari o cummari d'aneddu (compari/comari di anello); tenendo a battesimo un figlio di un parente o di un amico/a. (In questo caso si diventa cumpari i cuoppula, compare di coppola, dal berrettino del neonato o di San Giovanni.
Il terzo modo di stringere un comparatico è caduto in disuso oppure viene usato raramente. Avveniva nella notte del 24 giugno (San Giovanni). Nelle zone delle Madonie si scambiava un garofano rosso e si mangiava insieme dopo aver recitato alcune formule per il comparatico. Nelle zone del Messinese, la cerimonia avveniva attraverso lo scambio di un confetto. Il altre località si usava bere un sorso d'acqua salata o intrecciare i capelli dei compari.
Essere "Cumpari di San Ciuvanni" (compari di San Giovanni), significava volersi bene persino più degli stessi consanguinei, tuttavia c’erano delle regole che bisognava rispettare.
In occasione della festa di San Giovanni, era usanza consegnare un regalo al compare o alla comare. Ieri come oggi, tra compari non devono esistere liti o incomprensioni perché sarebbe un'offesa nei confronti di San Giovanni stesso.
Una caratteristica del “comparatico“, era che i compari, anche se si trattava di familiari, si dessero del “Vui” (Voi).
Il figlioccio diventava come un figlio per il padrino, tanto da credere addirittura si somigliassero nel carattere. Un antico proverbio siciliano, infatti, recita: "Di lu parrinu si nni pigghia la vina" (del padrino si hanno le vene. Cioè lo stesso sangue).
Per i criminali e malfattori, inoltre, questo connubio raggiungeva i più alti valori cavallereschi, significava fiducia cieca e fedeltà incondizionata, tanto da essere addirittura disposti a morire o farsi incarcerare pur di aiutare il compare.
Ancora oggi, il comparatico si può “stringere” in tre modi: facendo da testimoni alle nozze di amici o parenti; in questo caso si è cumpari o cummari d'aneddu (compari/comari di anello); tenendo a battesimo un figlio di un parente o di un amico/a. (In questo caso si diventa cumpari i cuoppula, compare di coppola, dal berrettino del neonato o di San Giovanni.
Il terzo modo di stringere un comparatico è caduto in disuso oppure viene usato raramente. Avveniva nella notte del 24 giugno (San Giovanni). Nelle zone delle Madonie si scambiava un garofano rosso e si mangiava insieme dopo aver recitato alcune formule per il comparatico. Nelle zone del Messinese, la cerimonia avveniva attraverso lo scambio di un confetto. Il altre località si usava bere un sorso d'acqua salata o intrecciare i capelli dei compari.
Essere "Cumpari di San Ciuvanni" (compari di San Giovanni), significava volersi bene persino più degli stessi consanguinei, tuttavia c’erano delle regole che bisognava rispettare.
In occasione della festa di San Giovanni, era usanza consegnare un regalo al compare o alla comare. Ieri come oggi, tra compari non devono esistere liti o incomprensioni perché sarebbe un'offesa nei confronti di San Giovanni stesso.
Una caratteristica del “comparatico“, era che i compari, anche se si trattava di familiari, si dessero del “Vui” (Voi).
Il figlioccio diventava come un figlio per il padrino, tanto da credere addirittura si somigliassero nel carattere. Un antico proverbio siciliano, infatti, recita: "Di lu parrinu si nni pigghia la vina" (del padrino si hanno le vene. Cioè lo stesso sangue).
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