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Cresce tra forno e farina ma sceglie un'altra arte: Pietro, scultore della "Sirena di Sicilia"

A lui dobbiamo opere pubbliche monumentali. Oltre alla Sirena di Sicilia, ci sono la Porta della bellezza per Fiumara d’Arte e l’Archimede, omaggio al matematico

Francesca Garofalo
Giornalista pubblicista e copywriter
  • 23 dicembre 2025

Lo scultore Pietro Marchese

La mente e i palmi guidano i polpastrelli, delineando un percorso che dallo zenit incorporeo arriva al nadir materico. Il responsabile di tale prodigio è Pietro Marchese, scultore siracusano classe 1977, laureato all’Accademia di Belle Arti di Carrara. A lui dobbiamo opere pubbliche monumentali, come la Sirena di Sicilia, statua dedicata alla campionessa mondiale di apnea Rossana Maiorca; la Porta della bellezza per la Fondazione Fiumara d’Arte e l’Archimede che omaggia il grande matematico della città aretusea. E recentemente ha consegnato una medaglia in ceramica al Principe Alberto II di Monaco a Stella San Giovanni (SV). Da anni ormai a Finale Ligure insegna presso il Liceo Artistico Giordano Bruno di Albenga (SV), dove è titolare di cattedra.

Ma questo è solo il punto d’arrivo di una storia che parte da un’altro contesto di creazione e creatività: la panificazione. Da piccolo, infatti, Pietro cresce nella panetteria di famiglia, luogo dove con occhi attenti scruta gesti che danno vita a un’altra materia e bene quotidiano. «Cresciuto tra impasti, farine e il calore del forno - dice Pietro Marchese - ho imparato prestissimo che la materia può essere trasformata con rispetto, con cura e con una sorta di sensibilità artigianale che non è lontana dall’atto artistico. La bottega è stata la mia prima scuola: un luogo dove si lavorava con le mani, con la mente e con il cuore».

Passione a cui se ne aggiunge un’altra “trasfusa dalle vene” di padre e zia alle sue: il disegno. Unita a un forte senso della forma, dell’osservazione e della linea che segue anche l’urgenza di dare forma a ciò che sente. L’arte per Pietro diventa così “un territorio di verità: un luogo in cui la materia prende voce e diventa racconto. Nel mio lavoro non cerco semplicemente di “modellare” una forma, ma di far emergere qualcosa che la precede - un’energia, un ricordo, una storia che la materia custodisce e che io accompagno verso la luce.

L’arte è il mio modo - prosegue - di interrogare il mondo e di restituirgli ciò che vedo e sento: la fragilità, la forza, le trasformazioni. Ogni scultura è un punto d’incontro tra ciò che siamo stati e ciò che stiamo diventando. E in questo senso l’arte è anche responsabilità: dare forma a qualcosa che possa continuare a parlare nel tempo, oltre me. È un ponte tra l’esperienza personale e la dimensione collettiva, tra il mio percorso e quello della comunità in cui le opere vivono».

Nel lavoro dell’artista tutto parte dall’argilla, materiale prediletto che instaura un rapporto immediato con la forma per poi diventare bronzo; a questo si aggiunge la ceramica e altri materiali ottenuti tramite procedimenti di formatura. Anche il marmo di Carrara ha la sua importanza in quanto "materiale che richiede rigore, ascolto e una profonda conoscenza tecnica".

Gli stessi aspetti che hanno contribuito alla realizzazione della sua amata Sirena di Sicilia, prima commissione pubblica realizzata a 28 anni: «Ricordo la Sirena come un momento di passaggio, quasi un rito di iniziazione. L’opera che mi ha fatto comprendere fino in fondo cosa significhi creare qualcosa che entra a far parte della memoria di una comunità. È stata un’esperienza che mi ha segnato e che conservo ancora oggi con profonda gratitudine».

E se da un lato la Sirena è stata l’iniziazione, l’Archimede invece è la sua sfida più grande. Un progetto che unisce arte, architettura e urbanistica realizzato con l’architetto Virginia Rossello. Due gli elementi principali: la statua in bronzo del genio siracusano e il grande basamento in pietra di Comiso, “strutturato come lo Stomachion, il famoso rompicapo geometrico attribuito allo scienziato.

È stato impegnativo - dice Pietro - sotto ogni aspetto: concettuale, strutturale ed emotivo. È un’opera che mi ha messo alla prova completamente, e forse proprio per questo rimane una delle più significative del mio percorso”. Opere grandiose, dunque, e tutte figlie di un creatore che intreccia due visioni artistiche: la public art, che esplora personaggi della storia e memoria collettiva e rende le opere accessibili, comprensibili e fruibili da tutti. E un percorso intimo, personale e riflessivo in cui il lavoro diventa dialogo “per esplorare le contraddizioni, le emozioni e le tensioni della società contemporanea».

Un modo di vedere che desidera perseguire anche in futuro con opere che abbiano un impatto, sia sul piano della memoria collettiva che su quello della riflessione personale e sociale. Senza dimenticare un ruolo più forte nell’attività di insegnante che formi le nuove generazioni di artisti a sensibilità, competenza e responsabilità nel rapporto con l’arte e con il mondo.
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