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Da Firenze a Palermo per raccontarne le meraviglie: cosa visitare per capire la città

Rivelare la vitalità di un popolo è arduo, ma per i coraggiosi che vogliono tentare l’impresa, l’arte è sicuramente il modo migliore per farlo. La storia di Fabio

  • 17 agosto 2022

Fabio Pellitteri (foto di Salvatore Giuseppe Russo)

"L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita", quante volte da palermitani ci siamo fermati davanti al maestoso ingresso del Teatro Massimo e ci siamo lasciati ispirare da questa frase.

Rivelare la vitalità di un popolo è certo arduo, ma per i coraggiosi che vogliono tentare l’impresa, l’arte è sicuramente il modo migliore per farlo.

Fabio Pellitteri è originario di Bagheria, ha 32 anni e sin da liceo sviluppa un grande amore per le lingue e per l’arte. Negli anni della sua formazione trascorre alcuni periodi in Spagna, prima a Granada poi a Salamanca, per perfezionare la lingua.

Durante gli studi universitari a Palermo si riavvicina all’arte lasciandosi ispirare da alcuni colleghi e partecipando al corso di storia dell'arte moderna.

«Col senno di poi - spiega - questa scelta è stata artefice del mio destino e passato l'esame mi sono precipitato a Firenze per ammirare le opere d'arte che avevo appena finito di studiare. In quell’occasione sono entrato in contatto con le guide turistiche della città e sono rimasto molto affascinato dalla professione: mi piaceva l’idea di portare in giro le persone alla scoperta delle meraviglie di un territorio, oltre al fatto che questo era un mestiere che mi avrebbe permesso di mettere a frutto i miei studi in lingue straniere».
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Rientrato da Firenze, Fabio decide di provare ad inseguire questo sogno e terminati gli studi alla triennale di Palermo inizia a programmare il trasferimento in Toscana.

«Sono rimasto folgorato da Firenze, è davvero una città a misura d'uomo, il giusto compromesso tra l’efficientissimo Nord Italia e la cultura più aperta e meno frenetica tipica del Sud. Avevo anche pensato di non prendere la magistrale e fare direttamente il corso da guida, ma poi mi sono deciso a completare gli studi a Palermo».

Nel 2017 Fabio si trasferisce nella sua amata Firenze.

«Quando sono arrivato la prima cosa che ho fatto è stata comprare una mappa - racconta Fabio -, per iniziare ad orientarmi e capire come fosse strutturata la città, ce l'ho ancora qui appesa nella mia stanza.

Quando il corso è iniziato ne sono rimasto entusiasta, ho imparato tantissimo non solo dal punto di vista contenutistico, ma soprattutto pratico: ho imparato a tenere il tempo, modulare la voce e coinvolgere tutto il gruppo nelle varie attività. È stato una parte fondamentale del corso che mi ha permesso poi di lanciarmi nei primi tour con la massima disinvoltura».

Al termine il corso, Fabio inizia a lasciare in giro per le strade il suo curriculum e bigliettini da visita a turisti e tour operator e dopo qualche giorno arrivano le prime chiamate. Da lì in poi non si è più fermato.

«Il primo tour in assoluto me l'ha passato un mio collega - spiega -. È stata una visita agli Uffizi con una scolaresca americana di sedicenni di Berkeley.

Mi è servito un po’ di tempo per mettere in moto la macchina, ma in una città come Firenze è stato possibile realizzarsi perché nonostante non avessi conoscenze o contatti, avendo capacità e competenze sono riuscito ad emergere, ho lavorato anche con tour operator online ed esperienze digitali».

Poi la pandemia.

«Avevo due possibilità - aggiunge Fabio -. Cambiare lavoro o continuare a coltivare questo sogno. Sono rientrato in Sicilia per provare a realizzare quello che avevo già in mente di fare ma in futuro: tornare a Palermo per raccontare le meraviglie di questa magnifica città.

La decisione di tornare naturalmente ha implicato che io riprendessi i libri in mano, durante i mesi del lockdown ho studiato la città da autodidatta e ho cominciato a guardarla con occhi nuovi. Ne ho riscoperto le storie, le tradizioni e i personaggi e quando, finalmente, le restrizioni sono diminuite, perdersi tra i suoi vicoli e ammirare i suoi monumenti, ha avuto tutto un altro sapore».

La distanza cura davvero certe ferite e il tempo, il più delle volte, dà modo di riparare ad alcuni errori. Al suo ritorno Fabio ha trovato una Palermo diversa, rinnovata, a cominciare dalla pedonalizzazione delle aree principali del centro storico che naturalmente portano più passìo e l’aumento esponenziale delle possibilità di innamorarsi della città.

«Quando sono partito nel 2016 molti siti erano chiusi, basti pensare al Monastero di Santa Caterina riaperto nel 2017, vedere questo genere di cambiamento mi ha spinto a riflettere sulla concreta possibilità di tornare.

Io vedo i cambiamenti tutti i giorni quando porto in giro i turisti, e se continuiamo così nel giro di pochi anni Palermo sarà a tutti gli effetti una città europea e internazionale. Si deve dare sicuramente più spazio ad arte e cultura, ma Palermo non ha niente da invidiare alle altre città d’arte italiane, anzi; qui le possibilità per guide, restauratori e tour operator potrebbero essere infinite».

Basti pensare alla valorizzazione della Cattedrale, il riassunto grafico della storia e dell’identità stessa della città di Palermo, una costruzione che ha richiesto quasi 700 anni per essere completata, «i mosaici delle absidi danno un'idea visiva chiara di come doveva essere quel monumento: imponente come una fortezza tipicamente nordeuropea ma raffinatissima e squisitamente decorata come i palazzi arabi del Medio Oriente.

È questa contaminazione tra stili ed esigenze diverse che hanno creato qualcosa di unico come la Cattedrale di Palermo, una cosa del genere non la si può vedere in nessun altro luogo al mondo”.

Anche Santa Maria dell'Ammiraglio, «nello scrigno di un piccolo cubo finemente decorato con mosaici d'oro è possibile sentir parlare tutte le lingue del mondo. Colonne con iscrizioni arabe, pavimenti tipici delle chiese paleocristiane e soffitti mosaicati con tessere d'oro tipici bizantini.

Per capire Palermo bisogna visitare questi due monumenti e toccare con mano quanto di buono ha portato la fusione tra le culture. Palermo nasce all'interno di un nucleo che via via si va allargando, i quartieri che oggi conosciamo hanno un’identità secolare. Quando ci si parla tra palermitani si tende a chiedere la zona di provenienza e quella determina il tuo background.

Secondo Fabio, infatti, «esiste il palermitano del Ballarò che è diverso dal palermitano della Kalsa che a sua volta è diverso dal palermitano dell’Acqua Santa o di Viale Lazio, non esiste il palermitano in astratto perché all'interno della stessa città coesistono culture totalmente differenti».

A Palermo esiste un concetto di appartenenza al quartiere che viene ancora prima di quello cittadino, persino i dialetti hanno pronunce diverse nelle varie zone, è sempre palermitano, ma lo si può distinguere.

Nonostante gli innegabili miglioramenti, però, è ancora forte la mancanza di attenzione per il bene comune e questo purtroppo danneggia l’impegno di tanti palermitani che invece credono nel miglioramento», aggiunge.

«Quando sono in giro con i turisti una volta su due mi viene chiesto qual è il problema con la raccolta della spazzatura e come sia possibile che una città così bella non venga valorizzata come merita.

Tutte le volte queste considerazioni mi mettono in imbarazzo all’inizio, io ci metto la faccia quando porto in giro le persone, e mi ritrovo spesso a spiegare il perché di tanto degrado e incuria e, vuoi o non vuoi, tutto riconduce sempre al discorso sulle mafie. Mi ritengo comunque fortunato perché da palermitano ho la possibilità di poter spiegare i contrasti di una città come Palermo, un eterno ossimoro di miseria e nobiltà.

Nelle mie visite provo a far cambiare l’approccio con cui si guarda alla città: non ha senso giustificare un bicchiere mezzo vuoto, io invito ad osservare come si è riempito. Alle persone spiego che c'è ancora molto da fare ma la mentalità ormai è cambiata. Io racconto che fino ai primi anni ‘90 ci si sparava per strada, del pizzo e dei locali dati alle fiamme, ma racconto anche di Falcone e Borsellino e dell’antimafia e di come sono cambiate in positivo le cose da quei terribili momenti.

Palermo è tutta questa, complessa e bellissima, e tanto più la gente mi chiede di queste cose tanto io racconto di come i palermitani hanno alzato la testa dicendo no alla mafia. Questo è quello che mi rende fiero di fare quello che faccio e mi spinge, nel mio piccolo sento di far parte di quella Palermo che sogna una città sempre migliore, parte di un cambiamento inevitabile».

Il futuro di Fabio è incerto ma pieno di possibilità.

«Attualmente non riesco a programmare sul lungo periodo, spero di non essere costretto a scappare di nuovo. Tutta questa passione, tutto lo studio e l’interesse che si sta investendo nella città voglio e spero davvero che porti qualcosa di buono.

Nel breve periodo sicuramente continuerò ad ampliare le mie conoscenze sulla città, specializzarmi in musei, chiese minori e quartieri periferici. Mi piacerebbe inventare nuovi percorsi che possano far scoprire non solo la antica ma anche la Palermo più moderna del Politeama o di via Libertà con i suoi palazzi in stile Liberty».
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