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Da quassù vedi l'Etna e Capo Peloro: in cima a uno scrigno che nasconde una "Truvatura"

Con questa escursione vi portiamo in un autentico scrigno di biodiversità, di storie e di leggende. Siamo nel Messinese e l'itinerario inizia dal paese di Alì Superiore

Santo Forlì
Insegnante ed escursionista
  • 10 luglio 2023

"Se la montagna non viene da me, vado io alla montagna". Inizia con il pensiero di Maometto, la nuova escursione con cui il gruppo "Valli Basiliane" è andato alla scoperta di Monte Scuderi, in provincia di Messina.

L'escursione inizia dal raduno ad Alì Terme, a 25 chilometri da Messina lato ionico.

Dopo avere fatto in automobile diversi tornanti a descrivere la lettera S siamo giunti ad Alì Superiore, paese dalle 25 chiese e con i tetti delle case tutte alla stessa altezza e con l’identico colore rosso delle tegole e che dalle sue finestre, piazze e vie si gode una splendida vista sul mare.

Ancora qualche chilometro su strada asfaltata, poi sterrata e poi abbiamo iniziato il percorso a piedi per raggiungere Monte Scuderi che era sempre alla nostra vista e pareva che ci aspettasse con la sua argentea sagoma guardandoci dall’alto.

Intanto camminavamo sferzati da un insolito maestrale abbastanza fresco nonostante la stagione e la giornata assolata.
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Ci veniva in mente il pensiero di Maometto. La montagna, del resto era lì imperturbabile e non aveva affatto l’aria di volersi disturbare.

Intanto camminavamo per l’ampia sterrata, eravamo un congruo gruppo, attraversando un paesaggio ordinato con ciuffi d’erba ampelodesma disposti equidistanti fra di loro sulle balze terrose che emergono dai costoni, ma con radi alberi, però ravvivato su alcuni versanti da bianche efflorescenze di pruni selvatici raggruppati fra di loro e in ampia e strepitosa fioritura.

Alle nostre spalle se volgevamo lo sguardo un po' in lontananza potevamo scorgere l’azzurro del mare. Lungo il percorso in una fenditura della valle ci siamo imbattuti pure in un ruscelletto e in qualche luogo dove il declivio era meno accentuato c’erano pure delle distese di verdi felci, invece le ferule e cardi c’erano un po’ dappertutto.

Cammina, cammina dopo svariati chilometri per tornanti pieni di curve ma pur sempre in ascesa, la stanchezza cominciava a farsi sentire, ma il bello è arrivato quando eravamo a qualche centinaio di metri dalla sommità del monte e davanti a noi ci siamo trovati da un lato una parete perfettamente in verticale e invalicabile e dall’altro invece delle guglie rocciose che contavamo di aggirare.

Infatti abbiamo affrontato questa fortezza naturale dalla forma quadrangolare dalla sua parte più impervia e scoscesa tanto che il pietrame ingombrava l’aspro versante tuttavia ingentilito e ravvivato da una miriade di fiorellini bianchi che fittamente disposti drappeggiavano dei ripiani e delle pareti.

Scomparso il sentiero abbiamo proceduto su un esile tracciato a serpentine molto in pendenza, facendo attenzione a non scivolare ed attingendo alle residue energie. Senza però che a distrarci dalla fatica non intervenisse la vista di insolite formazioni vegetali di piante grasse con fiori dai colori sgargianti.

Finalmente siamo giunti sulla vasta sommità del monte che ha un’altezza di 1.253 metri e che comprende un pianoro di circa tre ettari costellato di mucchi di pietra forse residuo di costruzioni e anche tanti frammenti di cotto, resti di epoche pre-romane e pre-greche.

Resistono anche mura di pietra come la "casa del re", per essere la più vasta delle costruzioni, ma che in realtà sembra che sia stata una vasca per la raccolta delle acque.

Ci sono anche delle conche per le neviere perché in passato si raccoglieva la neve che poi veniva pressata trasformata in ghiaccio e coperta con del fogliame. D’estate i nivaroli ne asportavano alcuni blocchi e li vendevano ai ricchi e alle gelaterie.

Dalla sommità di questo monte collocato in posizione centrale lo sguardo può spaziare su ampi orizzonti e vedere l’Etna, capo Peloro, il mare e gli altri monti.

Esso conserva tante reminiscenze storiche di popoli che l’hanno frequentato fin dalle epoche più antiche, pare fra l’altro che sia stato una fortezza bizantina quando ci si doveva difendere dai saraceni, infatti godeva di un’ampia visuale e poteva ricevere rinforzi da due lati.

Il monte si fa apprezzare anche per la sua biodiversità, per le specie vegetali endemiche che vi risiedono. Qui come sull’Etna esistono dei pulvini morbidi cuscini vegetali costituiti da una biocenosi fra l’astragalo e una pianta saponosa. Abbiamo visto pure degli asfodeli gialli con lo stelo somigliante ad un bastone.

Questo monte rappresenta anche uno scrigno di storie, di leggende fra cui quella della Truvatura: un fantastico tesoro custodito nelle sue viscere e che per impadronirsene bisognerebbe superare prove molto difficili in cui oltre ad essere molto abili ed accorti bisognerebbe avere un coraggio smisurato.

Al tempo degli arabi si narra che ci sia stata una infruttuosa spedizione per rinvenirlo conclusasi tragicamente col crollo di una grotta che ne ha sepolti molti.

Più concretamente la leggenda sarà stata alimentata dai ricchi filoni metalliferi, anche auriferi di queste rocce, tanto che in passato essi sono stati sfruttati da minatori tedeschi e poi dopo il 1860 da campani.

Del resto tutta la zona è stata in passato interessata da miniere, tanto che un borgo poco distante prende il nome di Allume proprio per la presenza di questo minerale.

Con tutti questi motivi di interesse la fatica è passata in secondo piano e si è dissolta nel giro di alcune ore, invece ciò che abbiamo visto ed appreso grazie anche alla nostra sapiente guida Giovanni Lombardo rimarrà come ristoro delle nostre menti.
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