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È la punta di una delle 3 "gambe" della Sicilia: l'enigma del lago sacro di Capo Peloro

Oggi più nessuno teme quelle profondità, il male che un tempo si dice ci fosse sembra scomparso e qui si pratica l’allevamento delle famose cozze della zona

Daniele Ferrara
Esperto di storia antica
  • 3 marzo 2023

Capo Peloro a Messina (foto da Wikipedia)

I laghi di Capo Peloro – la punta d’una delle “tre gambe” della Sicilia – sono una delle bellezze naturali del territorio municipale di Messina, specificatamente nelle aree denominate Ganzirri e Faro, che dànno i nomi alle due masse idriche; non soltanto belli da guardare ed esplorare, ma anche densi di misteri e di leggende, intricate.

I due laghi, detti Lago di Ganzirri (a Sud) e Lago di Faro (a Nord) o rispettivamente Pantano Grande e Pantano Piccolo più comunemente, si sarebbero originati dal mare, e hanno cambiata più volte la loro forma nel corso della storia. Un tempo però erano tre, poi quattro, poi di nuovo tre, infine due.

Tra Lago di Ganzirri e Lago di Faro che vediamo oggi ce n’era un altro, il Lago di Margi, cioè paludoso, che dà ancóra il nome al villaggio. Dal suddetto Pantano Grande per poco tempo si separò una parte più piccola settentrionale che fu chiamata Lago della Madonna di Trapani, poi ricongiuntasi al corpo principale, ma si vede ancóra la strettoia tra le due parti.
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Il Lago di Margi negli ultimi tempi divenne acquitrinoso e cagione di malaria, per cui fu bonificato e scomparve, restituendo resti d’un complesso templare antichissimo che non si sa tutt’ora come ci siano finiti.

Quale mistero celano i (tre) “pantani”? L’erudito latino Gaio Giulio Solino (III secolo d.C.) nella Collectanea rerum memorabilium, descrivendo i laghi, dice che al centro del “terzo lago” sorgeva “un altare” che rendeva sacre quelle acque; infatti, sebbene molti si riferiscano a esso come tempio, nel testo la parola è “ara”.

La descrizione che Solino fa del terzo lago ce lo fa identificare con quello di Faro, più settentrionale, dunque il terzo partendo da Sud: diviso in due parti, una nella quale si poteva toccare immergendosi, l’altra che sprofonda a strapiombo nell’oscurità, partizione che si nota tutt’ora dalle immagini satellitari proprio nel Pantano Piccolo.

Solino si esprimeva con queste parole: “[l’ara] situata nel mezzo divide la secca dalle profondità. Proseguendo in essa, l’acqua arriva alle gambe: cosa ci sia oltre non lice esplorare né tangere”.

Già così fa venire i brividi, no? Ma c’è dell’altro: non soltanto non era lecito esplorare quella profondità sacra, ma tentarvi conduceva a disgrazia anche istantanea, infatti chi tentava d’immergersi nella parte più oscura si ritraeva con la parte del corpo interessata “cadauer”, cioè probabilmente con la pelle ustionata o deturpata in altro modo.

Nessuno, da quel tempo, riporta più simili danni. Non sappiamo a chi fossero dedicati l’altare e i riti che vi si svolgevano. Siccome i santi cristiani occultano le deità pagane, possiamo trarne qualche speculazione: patrono di Ganzirri è San Nicola, cioè Poseidone, ma patrona di Torre Faro è la Madonna della Lettera, dunque si può pensare a qualche possente dea.

Conosciamo Peloria, una dea antichissima eponima della regione, poi declassata a ninfa nella teologia successiva. Peloria poteva essere intesa simile all’Artemide d’Efeso: estremamente forte, materna e al tempo stesso severa, una reminiscenza d’un passato lontano che la grecità ha modificata a sua bisogna.

Oggi nessuno più teme quelle profondità, il male che un tempo ne scaturiva sembra scomparso e vi si pratica la mitilicoltura, cioè l’allevamento delle famose cozze per cui tanto è rinomata Ganzirri.

Rimane traccia nella memoria popolare di questo antichissimo e oscuro sacrario? Ebbene sì, c’è una leggenda riguardante un opulento insediamento sprofondato nel Lago di Faro, che gli autoctoni amano raccontare. Proprio questa tradizione conferma che il lago sacro fosse quello.

Nella regione del Peloro si racconta che in un tempo lontano vi sorgesse una città dal nome Risa, la quale, essendo retta da una regina che anch’essa si chiamava Risa (chi dava il nome a chi?), sprofondò nelle acque del Lago di Faro. I pescatori del luogo ancor oggi assicurano di sentire suoni di campane vibrare dall’insediamento sommerso e affermano ch’essi premoniscano tempeste o altri fenomeni naturali.

Il mistero s’infittisce se consideriamo che Risa è il nome che nel linguaggio normanno si dava alla dirimpettaia Reggio, rimasto anche nella narrazione dell’Opera dei Pupi, ove essa appare come sede di una delle ultime dinastie di lignaggio troiano, il cui campione era il puro e ardente Ruggiero (padre del Ruggiero protagonista dell’Orlando furioso);

Risa subì la stessa sorte dell’antenata Troia, nel corpus puparesco, quando fu attaccata ed espugnata dal condottiero africano Almonte. Vengono due sospetti: o la Risa del lago è la proiezione della Reggio cavalleresca o addirittura quella Risa sorgeva ai piedi del Peloro anziché in Calabria.

Una via di mezzo è la tradizione ad oggi senza fonte, riferita sia da Matteo Maria Boiardo che da Ludovico Ariosto, che Astianatte figlio di Ettore, scampato al massacro di Troia, fosse divenuto Re di Messina, la quale sarebbe stata distrutta dagli Achei alla sua morte costringendo la sua sposa a fuggire a Reggio dove si sarebbe impiantata la sua linea di sangue fino a Ruggiero.

La sposa del principe troiano è forse la regina Risa della leggenda locale, che fuggì da un’arcaica Messina distrutta anziché affondata nel lago? Sono argomenti che meritano certamente approfondimento, almeno per curiosità letteraria e folklorica.

Tracce già rinvenute in tempi recenti, tuttavia, riportano a un piccolo scalo interno al lago, attivo in periodo bizantino, quando esso doveva essere in qualche modo collegato al mare, garantendo un approdo sicuro, ma sin oggi nessuna ricerca è stata condotta per rinvenire resti del complesso cultuale perduto “di Risa”.

Simili informazioni non possono che essere un invito naturale e istintivo a visitare questa meraviglia del territorio peloritano che, irto del maggior numero di leggende d’antichità dell’intera isola, non cessa mai di stupire e d’intrigare, pur con tutte le devastazioni che l’hanno caratterizzato negli ultimi secoli. L’attualità passa, la storia resta.
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