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Era siciliana la ragazza mutilata nel 1955 a Castel Gandolfo: un delitto ancora irrisolto

Uno dei più misteriosi casi di cronaca nera nell’Italia del dopoguerra è l’efferato omicidio della trentenne Antonietta Longo, ritrovata nuda e decapitata sulle rive del lago

Maria Oliveri
Storica, saggista e operatrice culturale
  • 9 giugno 2022

Un giornale dell'epoca riportava la notizia del delitto di Antonietta Longo

Il caso della povera Antonietta Longo - uno dei delitti irrisolti più seguiti dall’opinione pubblica negli anni ’50 - ha inizio sulle rive del Lago Albano, vicino a Castel Gandolfo, un comune alle porte di Roma. Qui, il 10 luglio 1955, il meccanico Antonio Solazzi e il sagrestano Luigi Barboni, ritrovano un cadavere femminile: la donna è nuda e la parte superiore del suo corpo è stata coperta con un giornale, una copia del Messaggero, che riporta la data del 5 luglio.

Per paura di essere coinvolti nelle indagini dell’omicidio, i due attendono qualche giorno e solo il 12 luglio avvisano le forze dell’ordine dell’orribile scoperta. Il delitto è stato efferato e brutale: la vittima è stata accoltellata più volte e infine è stata decapitata (per ritardarne o impedirne il riconoscimento probabilmente). L'avanzato stato di decomposizione rende difficile l'identificazione. Il medico legale, dopo aver effettuato l'autopsia, afferma che la donna ha di recente avuto un aborto e che ha subito l’asportazione delle ovaie. La paura di uno scandalo a seguito di una gravidanza fuori dal matrimonio, potrebbe essere il movente del delitto. Secondo il medico legale inoltre, solo un medico o un esperto di anatomia può avere decapitato la povera ragazza, che probabilmente è stata uccisa nello stesso punto di ritrovamento del suo corpo, dove vi era moltissimo sangue.
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L’assassino però ha commesso un grave errore: ha dimenticato di far sparire insieme a tutto ciò che indossava la vittima anche l'orologio che la donna portava al polso, ritenendolo forse di poco valore. Si tratta invece di un modello di marca Zeus, prodotto in soli 150 esemplari. Una ricerca svolta presso gli orafi consente di restringere il campo a due sole donne: la moglie di un pugile e una domestica di nome Antonietta.

Quest’ultima non risulta avere più fatto ritorno presso l'abitazione della famiglia di Cesare Gasparri, funzionario del ministero dell’agricoltura e suo datore di lavoro da 6 anni. La polizia procede quindi con la comparazione delle impronte digitali prelevate in casa Gasparri e, trentacinque giorni dopo il ritrovamento, può affermare con certezza che il cadavere ritrovato appartiene ad Antonietta Longo, nata a Mascalucia (CT) il 25 luglio del 1925.

La vittima, che ha quasi trent’anni, era scappata dalla miseria del paesino alle Pendici dell’Etna, sperando in un futuro migliore nel Continente. A Roma, dove aveva trovato lavoro come donna di servizio, conduceva una vita tranquilla. Era una grande lavoratrice e solo una volta a settimana si concedeva il lusso di uscire con le amiche, per andare al cinema o a ballare.

I carabinieri tentano di ricostruire le vicende relative agli ultimi giorni di vita di Antonietta. Scoprono così che pochi mesi prima del delitto ha ritirato una bella sommetta (231.000 lire) tutti i suoi risparmi, dall’ufficio postale e che il 4 aprile ha depositato una valigia (contenente probabilmente il denaro) in una cassetta della stazione di Roma Termini.

Il 24 giugno Antonietta ha acquistato un'altra valigia, oggetti personali, vestiti e biancheria da corredo e il 26 giugno ha chiesto un mese di permesso ai suoi datori di lavoro. Il mattino del 1º luglio è uscita dalla sua abitazione nel quartiere Africano, con un biglietto ferroviario per la Sicilia, ma invece di recarsi alla stazione ha trascorso un paio di notti a Roma, in compagnia di qualcuno. Il 5 luglio, presumibilmente il giorno della morte, ha spedito una lettera alla sua famiglia in Sicilia, annunciando con gioia le sue imminenti nozze. Da quel momento in poi di Antonietta non si sa più nulla. La lettera viene subito sequestrata dalla polizia e i giornalisti, in un’Italia maschilista e piena di pregiudizi, senza neanche averla vista, scrivono sulle pagine dei quotidiani che Antonietta è una ragazza leggera, che è solita frequentare uomini poco raccomandabili.

Il proprietario di una trattoria sul lago riferisce di aver noleggiato il 5 luglio una barca a una coppia che però non ha più fatto ritorno. A seguito di ulteriori indagini vengono ritrovate presso il deposito della stazione Termini le valigie (con gli indumenti e il corredo) preparate dalla donna, ma i soldi ritirati pochi mesi prima sono svaniti nel nulla. Si pensa che un uomo sposato possa aver sedotto Antonietta, per truffarla, rubarle il denaro e che l’abbia poi fatta sparire…

Due anni dopo l'efferato omicidio, un detenuto del carcere di Regina Coeli accusa suo cognato Giuseppe Bucceri di essere l’assassino: «È un uomo abituato a truffare le donne promettendo di sposarle», afferma, «Una volta, a una donna che aveva minacciato di denunciarlo, aveva detto che se lo avesse fatto le avrebbe tagliato la testa». Anche questa pista risulta inattendibile e viene abbandonata dagli inquirenti.

Nel 1971 due lettere anonime, inviate al procuratore generale della Corte d'appello di Roma, affermano che la Longo, costretta ad abortire dal suo fidanzato, un certo Antonio, pilota d’ aereo, già sposato, sia morta per emorragia. A riprova di tale affermazione, l’anonimo scriveva che c'erano le ferite inferte dall’assassino sul ventre, per cercare di cancellare le tracce dell'asportazione delle ovaie durante l'aborto.

In assenza di prove il caso viene definitivamente archiviato, senza aver trovato l’assassino, senza essere riusciti a comprendere il movente.

Solo qualche tempo dopo però, nel 1987, un pescatore trova un teschio umano nel lago Albano. Si pensa che dopo 32 anni di distanza, potrebbe trattarsi di quello di Antonietta Longo, ma così non è: gli esami scientifici rivelano che il teschio appartiene a un uomo.

“Di certo zia Ninetta non meritava una fine tanto orrenda. Né prima, quando le mozzarono la testa e le strapparono le ovaie, né dopo, quando la stampa prese a dipingerla come una poco di buono». Ha affermato due anni fa, intervistato da Fabio Peronaci, il nipote di Antonietta, Giuseppe Reina (sua nonna era sorella della Longo), che crede che il delitto fu insabbiato per coprire verità scomode.

“L’inchiesta fu caratterizzata da ritardi e depistaggi … Ugo Macera, superpoliziotto dell’epoca, promise a mia nonna che avrebbe catturato l’assassino in breve tempo, ma a un certo punto iniziò a brancolare nel buio, a fermare uomini alla cieca: un macellaio, un chirurgo… La soluzione del giallo potrebbe essere tra le righe di un’intervista rilasciata da un’amica cameriera, una certa Lina Federico, al periodico Realtà illustrata, uscita nel settembre 1955. Stando al testo, zia Ninetta le aveva confidato qualcosa di scabroso: di aver subito approcci sessuali durante l’orario di lavoro in casa Gasparri e di essere rimasta incinta in seguito a una violenza.

Articolo e relativi documenti vennero inviati in Procura, ma ne seguì stranamente un nulla di fatto. Eppure il giornalista sottolineò di aver raccolto le confidenze della Federico e di aver riportato il tutto con fredda obiettività. Niente di niente, nessuno proseguì oltre. Perché? Me lo chiedo da tanto tempo». (da Corriere della Sera,16 Febbraio 2020).
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