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Fu nella "sua" Sicilia che capì di voler diventare un'attrice: Monica Vitti, ciao grandissima!

Se ne va una grande del teatro e del cinema italiano e vogliamo ricordarla così, raccontando quella storia poco conosciuta, i suoi anni importanti passati in Sicilia, dove tutto ebbe inizio

Gianluca Tantillo
Appassionato di etnografia e storia
  • 3 febbraio 2022

Monica Vitti

È il 3 novembre del 1931 e ci troviamo a Roma, precisamente a casa Ceciarelli. Angelo, è lui l’uomo di casa, è nervoso perché ormai manca pochissimo e Adele, sua moglie, metterà al mondo il suo terzogenito. No, non è un altro maschio. Questa volta è una femminuccia e la chiamano Maria Luisa: un nome borghese che ben si addice a una famiglia più che benestante. (Noi da adesso la chiameremo col suo nome d'arte, Monica, per evitare confusioni).

Come ispettore dell’ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) Angelo si può permettere una vita abbastanza agiata per lui e la sua famiglia; e così, quando Monica è ancora bambina, accetta il trasferimento a Messina: che il sole e il mare facciano bene ai fanciulli glielo dice pure il dottore.

Quello che però Angelo non può sapere, né tantomeno il dottore, è che il 10 giugno del 1940, proprio alle porte dell’estate, quel signore buffo che stava sempre con le mani sui fianchi e chiamava tutti amichevolmente “Italiani!”, avrebbe condotto l’Italia in una guerra che, almeno così diceva, avrebbe dovuto essere "cosa di niente".
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Otto anni ci stanno ci stanno i Ceciarelli in Sicilia, ed è proprio in questa terra, dove quasi mai avevano visto cadere la pioggia, che un certo punto, nel 1943, vedono piovere dal cielo le bombe. Intanto oltre quel signore simpatico che teneva le mani sui fianchi ne era spuntato un altro ancora più simpatico che pretendeva che tutti lo salutassero alzando il braccio in alto.

Che ne poteva sapere Monica che era appena dodicenne e delle bombe non ne conosceva il motivo ma ne sentiva solo lo scoppio. E così, quando le sirene suonavano, si correva tutti negli scantinati e ci si riparava lì. Chi piangeva, chi si preoccupava, chi pregava e chi si disperava; insomma tutte cose che una bambina non dovrebbe vedere né sentire. Ed è proprio in quel momento che la piccola Monica scopre che esiste una cosa di cui ancora non sa il nome (teatro) e un’altra di cui non ancora non conosce la potenza (recitazione), che le danno il potere magico di diventare un’altra e volare.

È proprio lei a dircelo: “Stavo con i miei fratelli in Sicilia e c’erano i bombardamenti, e noi andavamo nello scantinato. Nello scantinato non si sapeva cosa fare, gente parlava della vita, gente piangeva e noi avevamo costruito un teatrino: avevamo messo una coperta, poi facevamo i pupazzi, disegnavamo gli occhi, il naso, la bocca e facevamo, parlavamo. Quello è stato il primo spettacolo che io ho fatto.”

Termina la guerra, il signore con le mani sui fianchi finisce appeso al contrario, quello con i baffetti diventa campione mondiale di nascondino, e Monica, oramai una signorina perché ha 14 anni, debutta in un teatrino a Roma con “La nemica di Niccodemi” nel ruolo di una donna molto più grande della sua età.

«Mai! Non reciterai mai!», le urla Adele, sua madre, preoccupata del fatto che una cosa così futile come il teatro possa condurre sua figlia ad una vita di insani principi e libertinaggio. E allora cosa fa Monica? Fa finta di obbedire e intanto prende parte alle prove di nascosto. È brava, glielo dicono tutti, ma poco gliene frega perché quello che sente lei verso quell’arte di cui adesso sa pronunciare il nome (recitazione!) è molto più intimo e importante di quello che le dice la gente.

Prova così a farsi ammettere all’Accademia nazionale d’arte drammatica, allora diretta proprio da Silvio D’amico, ma viene considerata poco matura e quindi respinta. Non si perde d’animo Monica e fra sé e Sé pensa: “Dicono che il mondo è di chi si alza presto. Non è vero. Il mondo è di chi è felice di alzarsi” (questa frase la dirà dopo ad un giornalista e diventerà celebre).

E siccome per Monica felicità è sinonimo di teatro, si rimbocca le maniche e l’anno successivo riprova le audizioni. Il verdetto della commissione questa volta è: “Merita, molto meglio dell’ultimo anno. Voce velata ma non sgradevole.” E così comincia a fare avanti e indietro tra casa e l’accademia, con quella sua tipica andatura impacciata e il 39 di piede che ogni tanto la porta inciampare rendendola goffa nonostante la sua indiscutibile bellezza.

Ma non è nemmeno questo il principale problema di Monica, quello che tutti le fanno notare è la voce rauca, tanto che si sottopone ad un esame medico, proprio all’accademia, e le viene riscontrato un problema alle corde vocali che viene direttamente comunicato al preside dell’Accademia Silvio D’Amico. Per fortuna la vita è fatta di incontri e in quel frangente incontra il suo insegnante Sergio Tofano (non proprio un pinco pallino qualunque dato che ha un curriculum lungo quanto l’elenco telefonico) che le sposta i capelli dietro l’orecchio, le asciuga una lacrima e le dice che, secondo il modestissimo parere, sono proprio qui difetti a renderla unica.

Si Diplomerà nel 1953 e subito dopo prenderà il nome d’arte (Vitti) che la renderà famosa in tutto il mondo… il resto è storia. Più avanti ci sarà qualche altro giornalista che le chiederà il segreto della sua comicità. Monica risponderà così: “Il segreto della mia comicità? La ribellione di fronte all’angoscia, alla tristezza e alla malinconia della vita.” Il ruolo dell’attrice da Monica in poi cambierà per sempre.
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