ARTE E ARCHITETTURA
Fu una grave perdita per Palermo: come nacque via Roma e lo "sfregio" alla Santuzza
Un vero e proprio sgarbo nei confronti della santa patrona della città che perse i monumenti eretti in suo onore e per 30 mila persone che rimasero senza casa
Via Roma a Palermo
Anticamente esistevano però anche il monastero e la chiesa di Santa Rosalia: sorgevano nell’odierna zona tra via Torino e via Roma, nella contrada dello Stazzone (il quartiere degli artigiani dediti alla lavorazione dell’argilla e alla fabbricazione di oggetti come vasellame e stoviglie).
Il monastero di Santa Rosalia venne fondato nel XVII secolo da cinque dame palermitane, Diana, Ippolita, Giovanna, Emilia e Margherita. figlie di Girolamo Del Carretto, conte di Racalmuto.
Le cinque aristocratiche avevano ereditato in parti uguali, nel 1605, i beni della sorella Aldonsa, che aveva anche disposto per testamento che nel caso le sue eredi fossero morte senza aver avuto figli, si creasse con il suo lascito a Palermo un monastero.
Nel 1625 morì anche Margherita Del Carretto, lasciò tutto ciò che possedeva alle sorelle e come Aldonsa anche lei dispose che alla morte delle sue eredi si realizzasse a Palermo un monastero e diede indicazioni precise: legato all’ordine domenicano e sotto il titolo di Santa Rosalia.
Nel 1634 per bolla del Papa Urbano VIII - pontefice che solo 4 anni prima aveva inserito il nome di Santa Rosalia nel Martirologio romano - venne ordinato, su richiesta di Aleramo, che nonostante Margherita avesse stabilito che il monastero dovesse fondarsi sotto l’ordine domenicano, nascesse sotto l’ordine benedettino perché diffusa era a quel tempo la credenza, che Santa Rosalia fosse stata monaca benedettina.
Nacquero col tempo diverse dispute in merito alla monacazione della Santuzza finchè il 10 gennaio del 1701 l’irreprensibile arcivescovo Ferdinando Bazan si vide costretto a dichiarare di suo pugno che Rosalia non era mai stata monaca, in nessun istituto, e che tutti gli atti, gli stampati o gli scritti che avessero affermato il contrario avrebbero dovuto reputarsi di nessun valore perché contrari alla tradizione del martirologio romano.
Affermò infine l’arcivescovo che la santa era passata dalla casa paterna "immantinente" (immediatamente) alla vita da eremita. Le suore del monastero di Santa Rosalia vestirono dunque l’abito nero delle benedettine e il Papa diede loro il permesso di portare una croce di tela bianca sullo scapolare, all’altezza del petto, per ricordo della croce d’argento che era stata trovata sul Monte Pellegrino tra le ossa della Santuzza e che era stata donata al monastero dal gesuita Cascini: la croce oggi si conserva in un reliquiario del tesoro della cattedrale.
Nel 1675 il monastero ottenne l’istituzione della clausura monastica e fu scelta come superiora del convento Suor Maria della Croce Setaiolo, donna di grande virtù, che venne trasferita al Santa Rosalia dal monastero dell’Immacolata Concezione al Capo.
La chiesa, progettata da Giacomo Amato, venne realizzata tra il 1700 e il 1709, anno in cui venne benedetta da don Giuseppe Lo Restivo, parroco di Santa Margherita alla Conceria. Sorgeva in una piccola piazza: l’interno era ad aula unica, con profondo presbiterio e quattro cappelle laterali.
Al suo interno vi erano sculture, stucchi, marmi mischi, pregiate opere d'arte di Mariano Rossi e Gioacchino Martorana e due grandi tele dipinte da Gaspare Serenario, una rappresentava San Benedetto e l’altra San Nicolò.
Sia il poeta Giovanni Meli che lo studioso Giuseppe Pitrè concordano nell’affermare che le suore di questo monastero erano esperte nel preparare un famoso antiacido, rimedio dopo le grandi abbuffate delle pietanze prelibate cucinate negli altri monasteri cittadini: Si qualchedunu mancia a scattari/ E cci fa dannu sta manciunaia/si po’ pigghiari allura pri purgari/ l’antiacitu di Santa Rusulia!”(G. Meli).
Oggi la via Santa Rosalia, a poca distanza dalla stazione centrale, è l’unica testimonianza dell’esistenza del complesso che fu raso al suolo tra il 1917 e il 1922 per il taglio di via Roma: un taglio doloroso perché comportò lo “sventramento” di una parte del centro storico, cioè l’abbattimento di tutto ciò che si trovava all’interno del progetto urbanistico, compresi palazzi e chiese, tra cui quella della santa patrona.
Il piano regolatore di risanamento del 1889 dell’ingegnere Felice Giarrusso prevedeva l’apertura di 4 grandi strade che avrebbero consentito una migliore circolazione dell’aria, perché il centro cittadino era allora fatto di cortili, viuzze strette, tuguri e vicoli malsani, zone insalubri.
Delle quattro arterie in realtà fu realizzata solo la via Roma e ci vollero ben 28 anni, dal 1895 al 1922: senza considerare che l’ingresso monumentale fu completato solo 10 anni dopo, nel 1932. A causa delle demolizioni per il taglio di via Roma circa 30.000 persone persero la loro casa, senza particolari ondate di sdegno da parte della cittadinanza.
Soltanto nel 1906 l'opinione pubblica si sollevò in favore di un grande pino, che doveva essere abbattuto. Si formò persino un Comitato e si ipotizzò la costruzione di una rotonda per salvarlo: ma neppure il pino si salvò!
Si salvarono invece alcune opere di pregio della chiesa di Santa Rosalia, come l'altare maggiore, che oggi si trova nella Chiesa Regina Pacis; un enorme crocifisso ligneo, trasportato nella Chiesa di S Giovanni Apostolo al CEP; una statua della santuzza attribuita a Ignazio Marabitti, trasferita presso la novecentesca Chiesa di Santa Rosalia in via Marchese Ugo.
Un affresco del soffitto, che raffigura San Benedetto circondato da angeli, dopo il ritrovamento nei magazzini di palazzo Abatellis, nel 2013 è stato restaurato ed è stato esposto temporaneamente nel Museo.
Professava la città di Palermo particolare devozione verso Santa Rosalia sua protettrice” scriveva Gaetano Moroni nel 1852: “Ma che devozione è …l’aver voluto cancellare il monastero e la chiesa sella Santa Patrona?” Si chiedono in tanti ancora oggi e ce lo chiediamo anche noi…
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